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"Furbo"... chi Legge!

Flessibilità nell'orario di lavoro: che diritti ha il lavoratore dipendente?

Come cambia il mondo del lavoro: diritti e doveri dei lavoratori e dei datori

Il mondo del lavoro, con la sua continua e perenne evoluzione, ha alcuni concetti cardine attorno ai quali poi sviluppare discorsi, idee e, ovviamente, anche regole e norme.

Tra questi concetti cardine c'è quello dell'orario di lavoro.
Ovviamente il discorso che si andrà a fare non vale per il libero professionista o imprenditore, dunque per colui che si trova a essere sostanzialmente artefice del proprio destino lavorativo, da solo a portare a casa risultati e a dover quotidianamente impegnarsi per accrescere contatti, numero di clienti, mole di attività e di conseguenza guadagni e rendite.

Concentriamoci, dunque, sull'orario di lavoro di un dipendente.
Come noto, a seguito di diversi mutamenti normativi, per legge un lavoratore dipendente, assunto con contratto a tempo pieno, ha un orario pari a 40 ore settimanali, straordinariamente arrivabile a 48, sempre tenuto conto delle singole fattispecie e delle singole pattuizioni disposte nel contratto collettivo nazionale di lavoro o in accordi integrativi circa per esempio la flessibilità oraria.

Il datore di lavoro può trasformare tutto questo e cioè far diventare un contratto di lavoro full time in uno part time? Si, ma ci sono alcune regole.
Innanzitutto in caso di contratto di lavoro a tempo pieno le variazioni dell'orario di lavoro possono avvenire solo previo accordo scritto tra le parti: in pratica il datore di lavoro e il lavoratore sono obbligati a mettere nero su bianco e sottoscrivere la volontà reciproca di diminuire l'orario lavorativo e questo perchè, come facilmente comprensibile, quasi sempre meno ore di lavoro significano anche diminuzione dello stipendio.
V'è di più: le ragioni della diminuzione delle ore di lavoro devono scaturire da provate, e quindi effettive, necessità economiche, produttive e organizzative del datore di lavoro.

Anzi, in caso di assenza di accordo scritto tra le parti, l'accettazione della diminuzione delle ore di lavoro da parte del lavoratore non può desumersi semplicemente dai comportamenti di quest'ultimo: ad esempio il fatto che dal lavoratore non ci sia un rifiuto non può essere inteso come consenso al suo minore impiego. E' per questa ragione, allora, che qualora ciò avvenga è necessaria una contestazione scritta da parte del lavoratore al fine di rimarcare che la mancata prestazione dipende da una scelta del tutto arbitraria del datore di lavoro.
A tal proposito non si può prescindere dall'esame della sentenza numero 1375 del 19 gennaio 2018 della Corte di Cassazione la quale puntualizza tutto quanto detto finora e afferma anche che in caso contrario il lavoratore ha diritto al pagamento delle differenze retributive rispetto al maggior orario di lavoro stabilito nel contratto.

Che accade, poi, se il dipendente non accetta?
Tale circostanza non può comportare il suo licenziamento che può avvenire solo nel caso in cui la riduzione delle ore di lavoro risulti da effettive difficoltà economiche, produttive, organizzative in capo al datore di lavoro.

Che accade, invece, se il dipendente accetta?
Accade che conseguentemente accetta anche la minore retribuzione, fatti salvi tutti gli altri diritti. Però nel caso di necessità di nuove assunzioni per la stessa sua mansione egli avrà un diritto di precedenza sui nuovi assunti che si concreterà nel diritto a tornare a lavorare nuovamente a tempo pieno con modifiche al contratto di lavoro.

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