Out of bounds
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Viva la storia di Molfetta!

La liberazione d'Italia: cosa avvenne a Molfetta?

Il racconto della città sul finire della Seconda Guerra Mondiale

L'8 settembre del 1943 resta una data storica oltre che fondamentale per la storia italiana.

Quel giorno infatti alle ore 19:42, dai microfoni dell'Eiar, il primo ministro Pietro Badoglio annunciava l'entrata in vigore dell'armistizio firmato il 3 settembre con gli anglo-americani.

L'annuncio fu salutato positivamente da tutti gli italiani, convinti che finalmente la guerra fosse finita.

A Molfetta, proprio in quel giorno c'erano i festeggiamenti per la Madonna dei Martiri. I molfettesi interpretarono tutto ciò come un segno divino e scesero nelle strade e nelle piazze manifestando la propria gioia, mentre tutte le campane della città suonavano a festa. Ma fu proprio in questa quarantina di giorni si vissero i giorni più tragici e drammatici della guerra da parte della popolazione civile. Ben presto tutte le città d'Italia furono invase delle truppe tedesche e a Molfetta fu requisito il campo sportivo ed occupato da carri armati germanici. Il locale ospedale militare allestito nel palazzo del Seminario Vescovile, era pieno di soldati che facevano ritorno dalla campagna di Grecia. Del tutto inesistenti erano le difese aeree; a Molfetta sul più alto degli edifici si potevano notare grossi aerofoni ai quali erano adibite delle persone prive della vista e di ottimo udito e solo tra Palese e Bari c'era una postazione di quattro piccoli cannoni antiaerei. I molfettesi non avevano dei rifugi antiaerei veri e propri, per cui rimanevano o nelle proprie abitazioni o si rifugiavano in grandi locali sotterranei che si trovavano al di sotto delle case del centro.
A Barletta il comando tedesco dette ordine di occupare e disarmare tutte le truppe italiane che erano lì, togliendo loro persino le scarpe. Dopo alcuni giorni cacciarono via tutti i soldati ed ufficiali italiani che, sbandati, cercavano di mettersi in salvo e al sicuro tentando di raggiungere le loro case. Lunghe file di questi nostri soldati che stanchi, sfiniti, affamati, bruciati dal sole estivo passavano a piedi da Molfetta e la gente che pietosa dava loro da bere e si privava del poco cibo di cui disponeva per aiutare e soccorrere tanti infelici. Durante l'occupazione tedesca, i soldati nemici non si fecero mai vedere di giorno.
I molfettesi assisterono solo a trasferimenti di colonne militari, spesso composte di carri armati che attraversarono la città soprattutto durante la ritirata. Con precisione quasi cronometrica, intorno alle 21:30, il passo cadenzato dei soldati che scendeva da Via Domenico Picca.

L'alto comando germanico aveva impartito alle proprie truppe l'ordine perentorio di abbandonare la Puglia e di risalire la penisola il più presto possibile. Pertanto, lunghe colonne militari di camion e di carri armati attraversarono le nostre città. I soldati tedeschi armati fino ai denti, con fare minaccioso puntavano i loro fucili ed i loro mitra contro la gente che assiepata lungo le strade guardava inebetita quello che stava accadendo. La popolazione era letteralmente indifesa per cui sarebbe bastato il più piccolo gesto perché i soldati tedeschi sparassero sulla popolazione massacrandola. Carabinieri, polizia, vigili urbani, soldati della guardia di Finanza e delle Capitanerie di Porto avevano avuto l'ordine di disarmarsi ed indossare abiti borghesi. Le armi erano state gettate in mare per cui la gente era completamente inerme. Le truppe tedesche appena giunte a Barletta ricevettero all'improvviso dal loro Alto Comando il contrordine di far marcia indietro e di rioccupare le città che erano state lasciate .

A Molfetta dunque si vivevano ore molto drammatiche, si aspettava da un momento all'altro il ritorno dei soldati tedeschi che chiamavano gli italiani "traditori".

Alla periferia nord della città, alle spalle della Basilica della Madonna dei Martiri, un gruppo di cittadini molfettesi, armati alla meglio si disposero in trincee improvvisate per organizzare una specie di difesa. Era il giorno 14 settembre 1943, la città era dominata da un profondo silenzio e le strade erano deserte. Alle 14:30 circa di quel pomeriggio, dopo un forte rimbombo, lungo le strade della città apparve un plotone di soldati bersaglieri motociclisti, con i fucili mitragliatori montati sui manubri delle moto. Avevano intercettato tra Molfetta e Bisceglie il convoglio motorizzato tedesco che stava ritornando sui propri passi. I nostri bersaglieri avevano disorientato il nemico con il loro assalto improvviso ed imprevisto costringendoli a fare dietro-front.

Il giorno in cui i tedeschi si ritirarono definitivamente, lasciarono solo un gruppo di mitraglieri dell'esercito italiano lungo la "statale 16" appena fuori città, a ridosso del Santuario della Madonna dei Martiri, a protezione della loro ritirata, ma dopo poche ore i mitraglieri erano scomparsi. Nei giorni della ritirata la campagna fu percorsa da molti soldati tedeschi stanchi e affamati, che chiedevano senza più alterigia un po'd'acqua e di cibo. Per tre giorni i molfettesi rimasero chiusi in casa senza acqua né corrente elettrica. Poi, in una luminosa e calda giornata di primavera, arrivò la prima colonna di mezzi corazzati dell'esercito alleato, che attraversò velocemente la città di Molfetta tra l'entusiasmo della popolazione: i carristi, seduti sulle torrette dei carri armati e dei blindati lanciavano sigarette e cioccolate a nugoli di ragazzini che si accapigliavano per prenderle, mentre i molfettesi applaudivano.

Molfetta, infine, subì un ultimo attacco, la sera del 6 novembre 1943, di un solitario caccia tedesco che, attirato dalle luci della palestra dell'istituto scolastico "Cesare Battisti", dove gli alleati piuttosto imprudentemente tenevano una serata danzante, sganciò una bomba che colpì un edificio civile in via Cap. de Gennaro e che provocò cinque morti, tra cui tre bambini, e sedici feriti.

Gli Alleati posero il loro Comando a Palazzo de Lago, situato in piazza Garibaldi, mentre le truppe occuparono edifici civili, pubblici e privati.

Ad esempio vennero requisiti gli edifici scolastici "Cesare Battisti", "Alessadro Manzoni" e la scuola per sordomuti "Apicella" come anche il Liceo Classico. Fu occupato anche l'albergo Flora, che si trovava un tempo su Corso Umberto, non lontano dalla stazione. E furono occupati anche edifici ecclesiastici come l'ex convento di San Domenico e i due Seminari, sia quello regionale che quello vescovile che vennero adibiti ad ospedali.

Nei pressi di piazza San Michele è ancora visibile la scritta "Out of bounds", fuori dal limiti, che vietava ai soldati alleati di avventurarsi per le strade perché pericolose situate nella zona di rione Catecombe e Crocifisso. Lì erano difatti avvenute numerose rapine e aggressioni a danno dei militari anglo-americani che si addentravano in quelle zone per recarsi nelle case di tolleranza allora presenti.

A Molfetta nei pressi di dove è ora è la scuola di San Giovanni Bosco, venne costruito il deposito per carburanti e tutto il lungomare di ponente (il lungomare della Madonna dei Martiri) con le numerose fabbriche meccaniche che vi si affacciavano, era stato requisito dagli Alleati che vi avevano realizzato una grande officina di riparazione e un enorme deposito di mezzi da trasporto e bellici. In zona Secca dei Pali, a due passi dalla Basilica della Madonna dei Martiri, si trovava il poligono del "Tiro a Segno" e qui gli alleati si esercitavano a sparare. Su Via Baccarini, inoltre, allogato nella Segheria Pansini, accanto alla stazione ferroviaria, un altro reparto militare alleato gestiva un'altra grande officina di manutenzione e riparazione con l'aiuto di una maestranza molfettese. Infine, giganteschi depositi all'aperto di munizioni erano disseminati nelle campagne lungo la Via della Madonna delle Rose, sul terreno di gioco del campo sportivo Paolo Poli, e in capannoni costruiti nella zona antistante il Paolo Poli (dove sorge il Palazzetto dello Sport).

Durante la notte del 3 dicembre 1943, la flotta aerea tedesca, composta da circa trenta bombardieri, attaccò il porto di Bari e le navi alleate presenti sul molo. Fu una delle sconfitte più amare dopo Pearl Harbor. Furono colpiti i depositi di armi chimiche e le due imbarcazioni che ne erano piene. Tutte le bombe al fosforo e all'iprite che venivano preparate dagli alleati presso l'ex stabilimento Stacchini, nei pressi di Torre Gavetone a Molfetta, vennero frettolosamente scaricate in mare. Lì dal dicembre 1943 ai primi anni Cinquanta americani e inglesi hanno gettato tutti i residui degli arsenali usati per la guerra in Italia.
Questo carico devastante è stato gettato in una colossale discarica sottomarina a largo di Molfetta. Molte armi sono finite nel porto o nei bassi fondali a poche centinaia di metri dalla costa. L'operazione pulizia infatti venne affidata soprattutto a ditte locali che, per risparmiare carburante o a causa di incidenti nel trasporto delle ogive contaminate, spesso le scaricò in prossimità del porto.
Mentre le discariche più grandi e pericolose sono segnalate a circa 35 miglia dalla costa. Di fronte a Torre Gavetone, uno dei siti più suggestivi del litorale, c'è un cimitero di ordigni imprigionati in una colata di cemento: nonostante i divieti di balneazione e persino di sosta, ogni estate la zona è affollata di bagnanti, incuranti del rischio chimico.

Per ulteriori informazioni si consiglia la lettura de "La rifondazione della Patria .Testimonianze e documenti raccolti dal Dipartimento di Storia della S.M.S. "A. Manzoni" di Barletta" e l'articolo del
Settimanale l'Espresso "Armi chimiche, il mostro di Molfetta".
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