Pulo Molfetta
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Viva la storia di Molfetta!

La storia della nitriera del Pulo di Molfetta

Continua l'approfondimento sul passato della nostra città

Sotto l'aspetto culturale, il Settecento fu un secolo fortunato per Molfetta, che vide nascere dal suo grembo artisti e ingegni di fama nazionale ed europea. Ci riferiamo soprattutto al pittore Corrado Giaquinto che operò a Roma, Torino, Madrid, e fu maestro del Velàsquez; all'erudito Ciro Saverio Minervini, assai stimato dall'illuminista Antonio Genovesi; al fisico Giuseppe Saverio Poli, all'arciprete Giuseppe Maria Giovene, naturalista e storico, e al musicista Luigi Capotorti, discepolo di Niccolò Piccinni.

Due di essi in particolare, l'abate Minervini e specialmente il canonico Giovene, si trovarono a condividere alcuni momenti dell'avventura culturale e umana del naturalista padovano Alberto Fortis.
L'abate Fortis, sempre a caccia di oggetti e di fenomeni naturalistici, fu indirizzato dall'abate Minervini a Molfetta presso il Giovene. Dal canonico molfettese fu condotto nello sprofondamento del Pulo e qui casualmente scoprì un'abbondante presenza di salnitro.

Il salnitro era allora considerato di notevole importanza militare, perché era il componente principale della polvere da sparo e da mina. La preparazione della polvere pirica implicava costi elevati, perché il nitro, a causa della non sufficiente produzione delle salpetriere artificali private del Regno di Napoli, doveva essere importato dall'estero, solitamente dall'Olanda, da Malta e dalle Americhe.
Quando lo scienziato padovano, interessato prevalentemente al valore mineralogico del ritrovamento, riferì l'accaduto al barone Melchiorre Delfico, questi lo indusse a palesare la scoperta del "nitro minerale" al generale John Francis Edward Acton, ministro della guerra del Regno di Napoli. Sir Acton impegnò l'abate Fortis a ripartire per il Pulo e suggerì a re Ferdinando IV di far compiere nuove ricerche nella foiba molfettese. Nel 1784 il Fortis, in compagnia dello scienziato Angelo Dalla Decima, tornò a Molfetta e riesaminò la terra nitrosa. Nello stesso anno due commissari regi, i chimici Giuseppe Vairo e Antonio Pitaro, confermarono il valore economico del Pulo. Il Fortis fu nominato consulente mineralogico del re, con l'incarico di riorganizzare la produzione del nitro. Dovendo però tornare nel Veneto, l'abate affidò l'ispezione sui lavori della nitriera al barone Graziano Maria Giovene, fratello del canonico.
Fu in quel periodo che vennero fatte le prime scoperte archeologiche nella dolina. Infatti, mentre asportavano i cumuli di pietre e terreno che inglobavano le pareti del Pulo e l'interno delle grotte, furono rinvenute "delle stoviglie di argilla […] lavorate a mano […] e cotte fino a nerezza", ossia esemplari di ceramica ad impasto ascrivibili all'età del Bronzo; "coltelli di pietra focaja"; alcune lame di "vetro vulcanico nero", ovvero ossidiana e "alcune accette di Giada verdastra e durissima".
Intanto le nuove disposizioni suggerite dall'abate per la produzione del salnitro e soprattutto il generoso tentativo di ottenere l'abolizione dell'ingiusto e antieconomico sistema dell'arrendamento. (molti contadini erano infatti costretti a cedere il letame, che diversamente avrebbero usato per concimare i propri campi, agli appaltatori che ne facevano incetta per la preparazione del nitro nelle salpetriere arficiali), scatenarono le più dure reazioni dei fermieri napoletani, che vedevano insidiati i propri lucrosi affari. Gli arrendatori, riuscirono a mobilitare una schiera di studiosi pronti a contestare la validità della scoperta del Fortis, ritenendo impossibile l'esistenza di una miniera di salnitro al Pulo e condannavano l'uso degli aggettivi "naturale", "nativo" e "minerale" per il nitro delle grotte molfettesi.
Per la verità il salnitro nelle caverne ha di solito una origine organica, essendo generalmente dovuto all'azione della flora batterica nitrificante, ma rispetto alle manipolazioni effettuate delle salpetriere artificiali, il Fortis era nel giusto quando sosteneva di aver rinvenuto il nitro nella dolina molfettese. Anzi per i nitrati di grotta, la sua rimane a tutt'oggi la più antica segnalazione al mondo.
Per difendere il suo operato, il Fortis restò nella capitale e nel regno napoletano fino al maggio del 1789 e si incontrò a Napoli con il naturalista Gerahard August Zimmermann e con il mineralogista inglese John Hawkins. Con essi, insieme al barone Delfico e al canonico Giovene, Fortis rivide la sua amata nitriera. Zimmermann compì un dettagliatissimo "Viaggio alla nitriera naturale di Molfetta, tradotto in italiano e in francese, dopo essere stato letto con successo alla Académie Royale des Sciences di Parigi. Se ne dà un piccolo stralcio:"

L'interno del Pulo è presentemente assai diverso da quello che era al tempo della scoperta; poiché non solo da quelle grotte si è estratta, e ammucchiata una gran quantità di terra per liscivarla, ma vi si è pur costruito a quest'uso un lungo edificio nel mezzo, e si è scavato un pozzo assai profondo per trarne dell'acqua minerale muriatica […] Del rimanente si vede ancora un grande parte del Pulo coperta, e circondata da diverse piante. Le grotte, e le galerie più ricche di nitro si trovano dalla parte dell'Est, e del Nord-est. Alle due più abbondanti si sono imposti gli augusti nomi di FERDINANDO, e CAROLINA. Di rimpetto a questa dal lato opposto del cratere ve n'ha una, che porta il nome di Gravina: i paesani credevano, ch'ella si stendesse fino alla città di Gravina, che è 30 miglia distante da Molfetta, quando all'incontro è una delle meno profonde. Noi abbiam dato ad un'altra il nome di Fortis in onore di quello, che ha scoperto le ricchezze del Pulo".

Subito dopo, gli intrallazzi degli arrendatori napoletani provvidero a gettare nuovo discredito sull'abate padovano. Eppure gli esperimenti favorevoli al Fortis si moltiplicavano un po' dappertutto, provando che sui frammenti calcarei del Pulo, trasportati diverse centinaia di miglia lontano si producevano nuove concrezioni nitrose. Il Fortis si recò successivamente a Gravina e Matera per osservare il metodo di preparazione del nitro artificiale e quindi cercare di impedire il rinnovamento dell'arrendamento in Basilicata e di ottenere l'abolizione dell'appalto del nitro in Terra di Bari. Poi il 5 maggio del 1789 fu ancora una volta al Pulo, per rifornirsi di campioni mineralogici da inviare ad altri studiosi e per fare nuove esplorazioni nelle caverne superiori. L'anno dopo, nuovi osservatori si recarono insieme nella foiba molfettese. Ma era troppo tardi, il sogno della nitriera e il connesso tentativo economico aziendale erano naufragati per sempre. Il Fortis cercò di ottenere senza troppi indugi la rescissione dagli impegni assunti con la corte borbonica, ma la dimora nel Regno si protrasse suo malgrado fino al 1791. Il ministro Acton, lo aveva incaricato di seguire la concessione della nitriera molfettese a una società privata che si era impegnata a sfruttare il giacimento dietro il versamento di un affitto annuo.

Della celebre scoperta negli anni seguenti non si videro oramai che le ultime faville di un gran fuoco, il Pulo verrà qualificato come "un casmo affatto negato allo stabilimento di una nitriera" e l'abate Fortis, morto nel frattempo nel 1803, come "un avventuriere imperito nella vera scienza chimica" A far giustizia di queste e altre storture, provvederà più tardi Giosuè Carducci, quando scriverà "Nell'83 aveva scoperto una nitriera in Puglia, e la scoperta era stata riconosciuta dai naturalisti esteri, acremente negata dai mineralogisti del regno".



Brano tratto da "Una miniera di nitro e un'altra di frodi. La nitriera borbonica di Molfetta nella testimonianza di viaggiatori e scienziati del '700" di Marco Ignazio de Santis, in Studi Molfettesi 9-11.
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