Salvemini fa chiarezza: «Parisi non era dedito al gioco d'azzardo, sul suo conto elementi diffamatori»

Il legale della famiglia replica alle dichiarazioni di Farinola: «La famiglia è sconvolta. E poi perché si riteneva in pericolo se era lui quello armato?»

mercoledì 10 luglio 2019 9.00
«Con riguardo all'articolo pubblicato il 7 luglio (clicca qui), la informo di aver ricevuto incarico dalla famiglia Parisi per attivare le opportune cautele legali a tutela dell'immagine del defunto e per fornire alla vostra testata una visione corretta della personalità del defunto».

Dall'avvocato Michele Salvemini, che difende i prossimi congiunti di Corrado Parisi, il 46enne di Molfetta morto dopo essere stato raggiunto al torace da un colpo di pistola esploso all'esterno del New Meeting Cafè di via Capotorti da Sergio Farinola, 43enne, costituitosi presso la locale Compagnia dei Carabinieri, riceviamo alcune precisazioni relative ad un nostro articolo pubblicato su MolfettaViva.it.

«I prossimi congiunti - scrive Salvemini - vogliono significare che il defunto non era assolutamente dedito al gioco d'azzardo ma era unanimemente riconosciuto come un padre affettuoso votato al lavoro. Pertanto, risulta assolutamente da smentire l'affermazione, da chiunque provenga, che fosse solito commettere reati contro il patrimonio e persino legati a risvolti ludopatici.

Come facilmente documentabile i precedenti del defunto risalgono nel tempo e concernono per lo più fatti bagattellari poi puniti con sanzioni brevi. Nell'ultimo decennio il Parisi aveva intrapreso una vita normale e svolgeva regolare attività assunto a tempo indeterminato.

Alla luce del quadro descritto la famiglia Parisi rimane sconvolta da quanto attribuito alle dichiarazioni dell'indagato giacché pur comprendendo la necessità di difendersi da un'accusa punibile con l'ergastolo non coglie la necessità di introdurre elementi diffamatori della memoria del defunto quali giustificare il gesto criminale sfruttando il lontano passato della vittima.

Sarebbe stato invece interessante capire perché l'indagato si riteneva in pericolo se era lui quello armato per strada ma soprattutto perché dopo aver estratto l'arma ed esploso un colpo intimidatorio riteneva di colpire due volte nel petto un uomo a sua stessa opinione paralizzato dalla pistola fumante. Ma come detto, la colpa del gesto sarebbe, secondo l'indagato, non sua ma della vittima.

Inutile dire che sarebbe stato invece auspicabile un pensiero alla famiglia ormai divelta dall'assassinio della colonna padre e lavoratore.

Per tali motivi, Le chiedo di pubblicare il punto di vista dei miei assistiti ma anche di precisare e sottolineare come le dichiarazioni dell'indagato sono attualmente non solo assolutamente prive di riscontri ma addirittura - conclude Salvemini - contraddette dalla logica».