«Pezzi di m....». Offese Minervini e Ancona: condannata a 1 anno di reclusione

L'episodio risale al 2020. Erano i tempi dell’esplosione del Covid-19 e la donna, di 77 anni, se la prese con il sindaco e l'assessore

mercoledì 29 novembre 2023
A cura di Nicola Miccione
Insultò «in luogo pubblico e alla presenza di più persone» il sindaco di Molfetta, Tommaso Minervini, e l'assessore dell'epoca, poi diventato vice sindaco, Antonio Ancona definendoli «pezzi di m…» e ritenendoli colpevoli di non fare abbastanza per scongiurare l'emergenza Covid-19: ora dovrà scontare 1 anno di reclusione.

Protagonista della vicenda, avvenuta nel momento in cui il Coronavirus, nel 2020, non aveva ancora iniziato a devastare anche la terra di Bari, è una 77enne del posto, giudicata il 24 novembre scorso dal giudice onorario del Tribunale di Trani, Maria Gurrado: l'imputata è stata ritenuta colpevole di oltraggio ad un pubblico ufficiale, e condannata, al termine di un processo celebrato con la formula del giudizio abbreviato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena.

I fatti sono avvenuti il 23 febbraio 2020, quando la donna, «in luogo pubblico e alla presenza di più persone - è scritto nel decreto di citazione diretta a giudizio del pubblico ministero della Procura della Repubblica di Trani, Achille Bianchi, - offendeva l'onore ed il prestigio» di Ancona, all'epoca dei fatti assessore comunale con deleghe, fra le altre, al marketing, al commercio e alla sicurezza, accusandolo, poco «dopo l'adunanza del consiglio comunale», di essere un «pezzo di m…».

Stessa sorte toccò a Minervini: «Anche il sindaco è un pezzo di m… e tutti quelli del Pd sono pezzi di m…». Una sfilza di offese che spinsero Minervini e Ancona, il primo assistito dall'avvocato Tommaso Poli, il secondo dall'avvocato Maurizio Masellis, a chiedere giustizia per quelle offese: quell'attacco pubblico era apparso del tutto ingiustificato - l'impegno del sindaco fu in realtà assillante sul fronte del contrasto alla pandemia -, tanto da stabilire di andare fino a fondo alla vicenda.

I difensori delle parti civili si sono soffermati «sulle differenze tra il legittimo diritto di critica, l'accanimento e l'aggressione alla reputazione, che, moltiplicata dai social, è poi in grado di generare vere campagne di odio». I difensori, a questo proposito, hanno indugiato sia «sul comportamento processuale dell'imputata sia, ad colorandum, sui comportamenti diffamatori della donna», stabilendo che «quello del Covid-19 fosse solo un pretesto per aggredire il sindaco e gli assessori».

La 77enne, infine, oltre alla condanna in primo grado, dovrà anche pagare le spese processuali, risarcire i danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, e pagare le relative spese processuali in favore delle parti civili, oltre spese e accessori di legge. Le motivazioni saranno rese note entro 90 giorni.