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Cronaca
Minervini «si intrometteva in ogni singolo bando o appalto» di Molfetta
Per la gip Chiddo avrebbe «esorbitato dai poteri a lui conferiti dalla legge, fino ad imporre continue pressioni al dirigente Binetti»
Molfetta - martedì 10 giugno 2025
17.09
Dalle indagini «è emersa la personalità forte e autoritaria del sindaco» Tommaso Minervini «che si intrometteva in ogni singolo bando o appalto, esorbitando dai poteri a lui conferiti dalla legge, fino a imporre continue pressioni al dirigente Alessandro Binetti, consegnandolo alla gestione degli imprenditori con lui collusi».
Sono parole dure quelle usate dalla giudice per le indagini del Tribunale di Trani, Marina Chiddo, per giustificare gli arresti domiciliari a cui è confinato da venerdì il primo cittadino di Molfetta. Secondo gli inquirenti, è scritto nell'ordinanza, «la scioltezza con cui il Minervini ha realizzato le condotte delittuose è sintomatica di un totale asservimento all'imprenditoria privata, in cambio di utili non di natura economica, ma di tipo non solo elettorale, ma anche di gloria e onori personali».
Le indagini hanno rivelato una «spiccata inclinazione del Minervini alla consumazione di delitti contro la pubblica amministrazione grazie anche ad una fitta rete di rapporti clientelari che gli consentivano (e gli consentirebbero ove lasciato in libertà) di condizionare l'attività amministrativa, da un lato deviandola dai retti fini istituzionali di trasparenza ed imparzialità cui è preposta e da tali fini distorcendola, dall'altro piegandola al perseguimento di interessi individuali di vari privati».
E proprio in tale contesto, «spicca la capacità criminale del dirigente Binetti (sospeso), piegato alla volontà del sindaco, privo di qualsiasi autonomia decisionale e pronto a firmare atti amministrativi utili a "legalizzare" le condotte illecite del sindaco». La dirigente Lidia De Leonardis, invece, anche lei agli arresti domiciliari, «era a conoscenza delle indagini a suo carico, pure per le notizie illecitamente rivelatele da Michele Pizzo (in pensione), che la donna continuava a frequentare».
Insomma, un «quadro caratterizzato da oggettivo e squallido svilimento delle pubbliche funzioni, al contempo dimostrativo di allarmanti e di recidivanti sintomi di gravissime condotte criminose». Nel periodo delle indagini, svolte dalla Guardia di Finanza della locale Compagnia, «è emersa la assoluta spregiudicatezza della loro condotta e la ferrea determinazione a delinquere pur in presenza di "incidenti di percorso" (la storia delle cimici) nell'attuazione del programma criminoso».
La gip, inoltre, ha evidenziato come gli indagati, «pur consapevoli di un'indagine in corso presso il Comune di Molfetta, non si sono fatti scrupolo di continuare ad usare pizzini e distruggere le apparecchiature utili alle indagini, tentando di deviare il corso delle stesse - è scritto - per sottrarsi alle loro pesanti responsabilità».
Sono parole dure quelle usate dalla giudice per le indagini del Tribunale di Trani, Marina Chiddo, per giustificare gli arresti domiciliari a cui è confinato da venerdì il primo cittadino di Molfetta. Secondo gli inquirenti, è scritto nell'ordinanza, «la scioltezza con cui il Minervini ha realizzato le condotte delittuose è sintomatica di un totale asservimento all'imprenditoria privata, in cambio di utili non di natura economica, ma di tipo non solo elettorale, ma anche di gloria e onori personali».
Le indagini hanno rivelato una «spiccata inclinazione del Minervini alla consumazione di delitti contro la pubblica amministrazione grazie anche ad una fitta rete di rapporti clientelari che gli consentivano (e gli consentirebbero ove lasciato in libertà) di condizionare l'attività amministrativa, da un lato deviandola dai retti fini istituzionali di trasparenza ed imparzialità cui è preposta e da tali fini distorcendola, dall'altro piegandola al perseguimento di interessi individuali di vari privati».
E proprio in tale contesto, «spicca la capacità criminale del dirigente Binetti (sospeso), piegato alla volontà del sindaco, privo di qualsiasi autonomia decisionale e pronto a firmare atti amministrativi utili a "legalizzare" le condotte illecite del sindaco». La dirigente Lidia De Leonardis, invece, anche lei agli arresti domiciliari, «era a conoscenza delle indagini a suo carico, pure per le notizie illecitamente rivelatele da Michele Pizzo (in pensione), che la donna continuava a frequentare».
Insomma, un «quadro caratterizzato da oggettivo e squallido svilimento delle pubbliche funzioni, al contempo dimostrativo di allarmanti e di recidivanti sintomi di gravissime condotte criminose». Nel periodo delle indagini, svolte dalla Guardia di Finanza della locale Compagnia, «è emersa la assoluta spregiudicatezza della loro condotta e la ferrea determinazione a delinquere pur in presenza di "incidenti di percorso" (la storia delle cimici) nell'attuazione del programma criminoso».
La gip, inoltre, ha evidenziato come gli indagati, «pur consapevoli di un'indagine in corso presso il Comune di Molfetta, non si sono fatti scrupolo di continuare ad usare pizzini e distruggere le apparecchiature utili alle indagini, tentando di deviare il corso delle stesse - è scritto - per sottrarsi alle loro pesanti responsabilità».