
L'emergenza Coronavirus raccontata da un autotrasportatore di Molfetta
Testimonianza di una categoria poco considerata ma fondamentale
Molfetta - venerdì 27 marzo 2020
05.00
Il Coronavirus sta purtroppo modificando radicalmente le nostre abitudini di vita e, in un momento totalmente privo di certezze per quelli che saranno gli sviluppi del contagio in Italia e nel mondo, uno dei pochi punti di riferimento è rappresentato dai rifornimenti dei beni di prima necessità in tutta la penisola.
Come dichiarato a più riprese dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal Sindaco di Molfetta Tommaso Minervini, non occorrerà fiondarsi alla caccia dei viveri perché i supermercati saranno sempre capaci di assecondare le richieste delle famiglie. A tal proposito, occorre parlare di una categoria che non ha quasi mai ricevuto risalto in queste settimane di emergenza, pur essendo fondamentale proprio per garantire i nostri pasti in casa e non solo: stiamo parlando degli autotrasportatori. Proprio per ricevere una testimonianza effettiva in merito, abbiamo contattato Leonardo, un autotrasportatore di Molfetta.
Cosa è cambiato nel vostro lavoro durante questa fase di emergenza?
«Il nostro lavoro è cambiato da diversi punti di vista da quando è iniziata questa situazione inaspettata. I trasporti legati alle aziende produttive non di prima necessità sono stati tagliati quasi del tutto mentre, al contrario, sono aumentati i viaggi per quanto riguarda i beni più importanti come il carburante e gli alimentari. Proprio per questo è possibile che presto vadano a sbloccare le ore di guida, chiedendo di ridurre il numero di ore destinate al riposo aumentando quelle di operatività, con tutti i rischi del caso legati alla stanchezza, inevitabile, degli autisti».
Della vostra categoria si parla poco in questo momento, anche se è ugualmente importante per rifornire tutte le persone che sono costrette a restare a casa e a limitare i propri movimenti. Credi ci sia poca riconoscenza verso il vostro lavoro?
«Ci tengo molto a questo aspetto perché credo si parli troppo poco di noi in generale, anche a prescindere dal momento attuale. Per giunta, quando si parla di noi spesso si parla anche male, nel senso che balziamo gli onori della cronaca principalmente in caso di incidenti, con conseguenze a persone oppure semplicemente causando blocchi al traffico autostradale. Raramente si parla dei nostri meriti, ad esempio quando riusciamo ad andare oltre quegli ostacoli che ci possono capitare durante il viaggio come guasti o condizioni meteo avverse. Si sottovaluta in generale il trasporto perché è il "dietro le quinte" rispetto al prodotto finito che i cittadini vedono: tutto ciò che abbiamo in casa, che mangiamo o persino il materiale di costruzione delle nostre abitazioni, è il risultato ultimo del lavoro di un autotrasportatore che l'ha avvicinato a noi. Se si riflettesse di più su questo aspetto, in apparenza invisibile della vita quotidiana, credo che qualche merito in più ci sarebbe attribuito. Una cosa che mi preoccupa, adesso, è il fatto che un camion su quattro sia fermo per lo sciopero della propria azienda: quando inizia a fermarsi il trasporto di un bene di prima necessità c'è da allarmarsi. Parto dall'esempio del carburante: se non circola chi trasporta questa risorsa, come faranno a fare rifornimento i camionisti che devono raggiungere i supermercati o portare materiale sanitario (come le mascherine, ndr) negli ospedali?».
Siete stati muniti dei dispositivi di protezione dall'inizio dell'epidemia o avete dovuto provvedere da voi?
«Ovviamente nessuno ci ha fornito i dispositivi di protezione e abbiamo dovuto munirci autonomamente. Per noi che viviamo in viaggio non è semplice avere il modo di reperire questi strumenti di protezione e, per giunta, spostandoci continuamente in tutta Italia siamo anche particolarmente esposti ai rischi di contagio. La paura più grande l'abbiamo quando torniamo a casa, perché temiamo che, avendo rischiato di toccare una qualsiasi superficie infetta durante il lavoro, si possa portare in famiglia questo virus. Molti possono vivere con persone anziane, con malattie pregresse oppure con figli piccoli e in quel caso optano per autoisolarsi pur di non correre rischi. In ogni caso viaggiamo sempre muniti di mascherine e guanti per proteggerci come possiamo».
Negli ultimi giorni si è parlato del fatto che in alcune stazioni di servizio non fosse consentito l'accesso per voi: cosa ti senti di dire su questo tema?
«Molte stazioni di servizio hanno scelto di chiudere i propri servizi ai camionisti, considerandoci potenziali portatori di contagio. In questo modo veniamo messi in condizioni di grande difficoltà perché per noi è fondamentale poter disporre di servizi igienici dopo tante ore di viaggio. Credo sia anche un paradosso il fatto che sia, ad esempio, negata la ristorazione agli autotrasportatori quando proprio altri di noi hanno rifornito di quegli alimenti lo stesso autogrill. Fortunatamente, non tutti i direttori delle stazioni di servizio hanno assunto questo atteggiamento assurdo nei nostri confronti. Per chi fa il nostro lavoro è fondamentale usufruire dei servizi igienici, invece questi ci vengono negati ma al contempo ci viene chiesto di guidare per tratte più lunghe, come se fossimo macchine e non uomini».
Come dichiarato a più riprese dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal Sindaco di Molfetta Tommaso Minervini, non occorrerà fiondarsi alla caccia dei viveri perché i supermercati saranno sempre capaci di assecondare le richieste delle famiglie. A tal proposito, occorre parlare di una categoria che non ha quasi mai ricevuto risalto in queste settimane di emergenza, pur essendo fondamentale proprio per garantire i nostri pasti in casa e non solo: stiamo parlando degli autotrasportatori. Proprio per ricevere una testimonianza effettiva in merito, abbiamo contattato Leonardo, un autotrasportatore di Molfetta.
Cosa è cambiato nel vostro lavoro durante questa fase di emergenza?
«Il nostro lavoro è cambiato da diversi punti di vista da quando è iniziata questa situazione inaspettata. I trasporti legati alle aziende produttive non di prima necessità sono stati tagliati quasi del tutto mentre, al contrario, sono aumentati i viaggi per quanto riguarda i beni più importanti come il carburante e gli alimentari. Proprio per questo è possibile che presto vadano a sbloccare le ore di guida, chiedendo di ridurre il numero di ore destinate al riposo aumentando quelle di operatività, con tutti i rischi del caso legati alla stanchezza, inevitabile, degli autisti».
Della vostra categoria si parla poco in questo momento, anche se è ugualmente importante per rifornire tutte le persone che sono costrette a restare a casa e a limitare i propri movimenti. Credi ci sia poca riconoscenza verso il vostro lavoro?
«Ci tengo molto a questo aspetto perché credo si parli troppo poco di noi in generale, anche a prescindere dal momento attuale. Per giunta, quando si parla di noi spesso si parla anche male, nel senso che balziamo gli onori della cronaca principalmente in caso di incidenti, con conseguenze a persone oppure semplicemente causando blocchi al traffico autostradale. Raramente si parla dei nostri meriti, ad esempio quando riusciamo ad andare oltre quegli ostacoli che ci possono capitare durante il viaggio come guasti o condizioni meteo avverse. Si sottovaluta in generale il trasporto perché è il "dietro le quinte" rispetto al prodotto finito che i cittadini vedono: tutto ciò che abbiamo in casa, che mangiamo o persino il materiale di costruzione delle nostre abitazioni, è il risultato ultimo del lavoro di un autotrasportatore che l'ha avvicinato a noi. Se si riflettesse di più su questo aspetto, in apparenza invisibile della vita quotidiana, credo che qualche merito in più ci sarebbe attribuito. Una cosa che mi preoccupa, adesso, è il fatto che un camion su quattro sia fermo per lo sciopero della propria azienda: quando inizia a fermarsi il trasporto di un bene di prima necessità c'è da allarmarsi. Parto dall'esempio del carburante: se non circola chi trasporta questa risorsa, come faranno a fare rifornimento i camionisti che devono raggiungere i supermercati o portare materiale sanitario (come le mascherine, ndr) negli ospedali?».
Siete stati muniti dei dispositivi di protezione dall'inizio dell'epidemia o avete dovuto provvedere da voi?
«Ovviamente nessuno ci ha fornito i dispositivi di protezione e abbiamo dovuto munirci autonomamente. Per noi che viviamo in viaggio non è semplice avere il modo di reperire questi strumenti di protezione e, per giunta, spostandoci continuamente in tutta Italia siamo anche particolarmente esposti ai rischi di contagio. La paura più grande l'abbiamo quando torniamo a casa, perché temiamo che, avendo rischiato di toccare una qualsiasi superficie infetta durante il lavoro, si possa portare in famiglia questo virus. Molti possono vivere con persone anziane, con malattie pregresse oppure con figli piccoli e in quel caso optano per autoisolarsi pur di non correre rischi. In ogni caso viaggiamo sempre muniti di mascherine e guanti per proteggerci come possiamo».
Negli ultimi giorni si è parlato del fatto che in alcune stazioni di servizio non fosse consentito l'accesso per voi: cosa ti senti di dire su questo tema?
«Molte stazioni di servizio hanno scelto di chiudere i propri servizi ai camionisti, considerandoci potenziali portatori di contagio. In questo modo veniamo messi in condizioni di grande difficoltà perché per noi è fondamentale poter disporre di servizi igienici dopo tante ore di viaggio. Credo sia anche un paradosso il fatto che sia, ad esempio, negata la ristorazione agli autotrasportatori quando proprio altri di noi hanno rifornito di quegli alimenti lo stesso autogrill. Fortunatamente, non tutti i direttori delle stazioni di servizio hanno assunto questo atteggiamento assurdo nei nostri confronti. Per chi fa il nostro lavoro è fondamentale usufruire dei servizi igienici, invece questi ci vengono negati ma al contempo ci viene chiesto di guidare per tratte più lunghe, come se fossimo macchine e non uomini».