
Coronavirus, il racconto di due studentesse di Molfetta da Londra e Parigi
Testimonianze su come le due capitali stiano vivendo la pandemia
Molfetta - giovedì 19 marzo 2020
0.29
In un momento delicato per tutto il mondo a causa della pandemia del Coronavirus, non c'è soltanto chi si ritrova a vivere in casa la surreale condizione di isolamento, ma anche chi deve affrontare questo inatteso stato come studente fuori sede, lontano da casa o addirittura all'estero.
Nel caso di chi sia fuori dall'Italia la difficoltà è doppia, in quanto si ascoltano da una parte gli aggiornamenti provenienti dalla penisola e, dall'altra, si monitora con attenzione la situazione nella propria sede momentanea. Per ricavare alcune impressioni in merito, abbiamo contattato due studentesse molfettesi che attualmente vivono a Londra e Parigi per motivi di studio. Regno Unito e Francia viaggiano rispettivamente con circa 14 e 9 giorni di ritardo rispetto alla curva epidemica dell'Italia e per questo stanno agendo con ritardo anche se, proprio l'esempio italiano, dovrebbe favorire un'azione d'anticipo piuttosto che rallentata.
Questo il quadro descritto dalla molfettese attualmente a Londra: «La prima sensazione che da italiana avverto è di spaesamento: essendoci uno scarto tra il flusso virale dell'Italia e quello inglese, per me è stato come stare tra due fuochi. In particolare, dopo il decreto di Conte che ha sancito l'obbligo di permanenza in casa, era evidente per me una netta differenza rispetto all'atteggiamento assunto in Regno Unito, dove ancora non si ha piena coscienza della gravità di questa epidemia. Pur stando qui, dove il problema risulta ancora poco sentito rispetto all'Italia, ho deciso di restare anch'io in casa perché la situazione italiana mi preoccupa e preferisco prevenire. Avrei anche potuto decidere di rientrare a Molfetta ma così facendo avrei corso molti più rischi dovendo affrontare un viaggio internazionale che, inevitabilmente, espone a dei rischi sia per me che, di conseguenza, per la mia famiglia. Solo negli ultimi giorni è nata nell'opinione pubblica una maggiore consapevolezza su questa emergenza ma la gente ha preso ben poche precauzioni fino a questo momento, continuando a vivere in maniera quasi normale, come se nulla fosse (lo dimostra la foto in evidenza di articolo, in una stazione metro, ndr): in questo senso, l'atteggiamento contraddittorio di Boris Johnson sulla questione non ha aiutato. Adesso spero che il paese abbia iniziato ad aprire gli occhi, prendendo proprio l'Italia come modello».
Leggermente diversa, invece, la situazione che si registra a Parigi: «Nell'azienda in cui lavoro - racconta la studentessa - solo da domenica hanno disposto lo smart working che è iniziato quindi da questa settimana. Fino a venerdì scorso non sembrava esserci una soglia d'attenzione particolarmente alta sul problema. All'interno del mio collegio hanno chiuso gli spazi comuni, invitando soprattutto gli studenti francesi a fare ritorno dalle loro famiglie. In città hanno ridotto per ora solo il 20% dei mezzi pubblici e hanno disposto il divieto di circolazione per i taxi. Per noi studenti italiani presenti qui non è facile capire cosa sia meglio fare perché, ad esempio, i voli verso l'Italia diminuiscono sempre di più e quindi subentra il timore di non riuscire più a tornare, almeno fin quando questa situazione non sarà del tutto superata. A livello di vita, fino al discorso alla nazione tenuto da Macron venerdì scorso, io non ho visto una sola persona in strada con la mascherina, perciò credo che il problema sia stato colpevolmente sottovalutato. Solo dall'ultimo weekend la Francia ha iniziato a prendere seriamente questa emergenza, infatti tanti stranieri hanno cercato di andar via e sono diventate frequenti le immagini di code, lunghe anche chilometri, all'ingresso dei supermercati (la foto interna all'articolo, ndr): tutto ciò crea assembramenti che, paradossalmente, favoriscono ulteriormente il contagio. Comunque, adesso anche i francesi sono preoccupati da questo virus».
Ricordiamo come il Regno Unito calcoli, con aggiornamento alla serata del 18 marzo, 2.604 casi positivi totali di cui 104 decessi mentre in Francia, sempre secondo i dati raccolti ieri, sono 9.134 con 264 decessi.
Nel caso di chi sia fuori dall'Italia la difficoltà è doppia, in quanto si ascoltano da una parte gli aggiornamenti provenienti dalla penisola e, dall'altra, si monitora con attenzione la situazione nella propria sede momentanea. Per ricavare alcune impressioni in merito, abbiamo contattato due studentesse molfettesi che attualmente vivono a Londra e Parigi per motivi di studio. Regno Unito e Francia viaggiano rispettivamente con circa 14 e 9 giorni di ritardo rispetto alla curva epidemica dell'Italia e per questo stanno agendo con ritardo anche se, proprio l'esempio italiano, dovrebbe favorire un'azione d'anticipo piuttosto che rallentata.
Questo il quadro descritto dalla molfettese attualmente a Londra: «La prima sensazione che da italiana avverto è di spaesamento: essendoci uno scarto tra il flusso virale dell'Italia e quello inglese, per me è stato come stare tra due fuochi. In particolare, dopo il decreto di Conte che ha sancito l'obbligo di permanenza in casa, era evidente per me una netta differenza rispetto all'atteggiamento assunto in Regno Unito, dove ancora non si ha piena coscienza della gravità di questa epidemia. Pur stando qui, dove il problema risulta ancora poco sentito rispetto all'Italia, ho deciso di restare anch'io in casa perché la situazione italiana mi preoccupa e preferisco prevenire. Avrei anche potuto decidere di rientrare a Molfetta ma così facendo avrei corso molti più rischi dovendo affrontare un viaggio internazionale che, inevitabilmente, espone a dei rischi sia per me che, di conseguenza, per la mia famiglia. Solo negli ultimi giorni è nata nell'opinione pubblica una maggiore consapevolezza su questa emergenza ma la gente ha preso ben poche precauzioni fino a questo momento, continuando a vivere in maniera quasi normale, come se nulla fosse (lo dimostra la foto in evidenza di articolo, in una stazione metro, ndr): in questo senso, l'atteggiamento contraddittorio di Boris Johnson sulla questione non ha aiutato. Adesso spero che il paese abbia iniziato ad aprire gli occhi, prendendo proprio l'Italia come modello».
Leggermente diversa, invece, la situazione che si registra a Parigi: «Nell'azienda in cui lavoro - racconta la studentessa - solo da domenica hanno disposto lo smart working che è iniziato quindi da questa settimana. Fino a venerdì scorso non sembrava esserci una soglia d'attenzione particolarmente alta sul problema. All'interno del mio collegio hanno chiuso gli spazi comuni, invitando soprattutto gli studenti francesi a fare ritorno dalle loro famiglie. In città hanno ridotto per ora solo il 20% dei mezzi pubblici e hanno disposto il divieto di circolazione per i taxi. Per noi studenti italiani presenti qui non è facile capire cosa sia meglio fare perché, ad esempio, i voli verso l'Italia diminuiscono sempre di più e quindi subentra il timore di non riuscire più a tornare, almeno fin quando questa situazione non sarà del tutto superata. A livello di vita, fino al discorso alla nazione tenuto da Macron venerdì scorso, io non ho visto una sola persona in strada con la mascherina, perciò credo che il problema sia stato colpevolmente sottovalutato. Solo dall'ultimo weekend la Francia ha iniziato a prendere seriamente questa emergenza, infatti tanti stranieri hanno cercato di andar via e sono diventate frequenti le immagini di code, lunghe anche chilometri, all'ingresso dei supermercati (la foto interna all'articolo, ndr): tutto ciò crea assembramenti che, paradossalmente, favoriscono ulteriormente il contagio. Comunque, adesso anche i francesi sono preoccupati da questo virus».
Ricordiamo come il Regno Unito calcoli, con aggiornamento alla serata del 18 marzo, 2.604 casi positivi totali di cui 104 decessi mentre in Francia, sempre secondo i dati raccolti ieri, sono 9.134 con 264 decessi.