Gianni Porta, sulle riflessioni di Azione Cattolica a proposito del voto amministrativo

«Crediamo che l'analisi di AC sia una buona premessa per una radicale interrogazione sulla crisi della politica e dell'agire comunitario»

mercoledì 12 luglio 2017 09.30
Le riflessioni della Presidenza Diocesana di Azione Cattolica sulle ultime elezioni amministrative sono di stimolo per un dibattito proficuo. Al di là delle valutazioni di merito sulle singole consultazioni, è utile soffermarsi sul tema emergente ed emergenziale dell'astensionismo che secondo AC mostra una crisi evidente del "senso di partecipazione dei cittadini alla vita della propria città". Pertanto vogliamo offrire qualche spunto per "l'avvio di una riflessione più ampia sul tema" introdotto nel documento di AC dal "sempre maggior distacco tra i bisogni dei cittadini e le scelte politiche ed amministrative messe in atto da chi ci governa", nonché da "una politica troppo autoreferenziale e piegata su se stessa anziché protesa verso il bene comune". Si rileva, dunque, tra politica e amministrazione e cittadino "un grave gap di partecipazione da colmare". Come si ovvia a ciò?
Sicuramente - come suggerisce AC - servono da un lato «la capacità di chi "fa politica", di "fare narrazione" del suo impegno, delle scelte che la politica e l'amministrazione sono chiamate a fare" e, dall'altro lato, "l'esercizio della "curiosità civica" che ciascuno di noi deve sviluppare per "conoscere" in maniera approfondita e circostanziata le tematiche emergenti dal quotidiano della città». Dunque servono più attenzione alla comunicazione, alla narrazione, alla spiegazione da parte della politica e più interesse da parte del cittadino nell'informarsi, elaborare, prendere posizione.

Crediamo che l'analisi di AC sia una buona premessa per una radicale interrogazione sulla crisi della politica e dell'agire comunitario. Da quasi trent'anni la politica e l'amministrazione si sono presentate e rappresentate a varie forme nella comunicazione, hanno puntato sulla trasparenza e su nuove normative favorevoli all'accesso alle informazioni; da quasi trent'anni viviamo immersi nella convinzione che il cittadino possa, debba e sappia sviluppare il senso critico, l'esercizio dell'approfondimento e la scelta consapevole, grazie anche alle nuove tecnologie, alle nuove reti mediatiche e ai social media. Eppure ciononostante, la crisi si approfondisce. Cosa non funziona in questo meccanismo che invece produce e riproduce sfiducia, diffidenza, apatia nonché rabbia, ribellione, ipercriticità? Cosa manca di essenziale tra le istituzioni politiche e amministrative e il cittadino per colmare il gap di partecipazione?

Prima di abbozzare parziali tentativi di risposta, alcune premesse.
In primo luogo, osserviamo che la crisi dell'attuale modello economico poggia su una visione competitiva della società ed egoistica della persona.
In secondo luogo, osserviamo che la politica viene presentata in questo modello di società prevalentemente come attività di gestione dell'esistente ovvero ha smesso di essere progettazione del futuro e trasformazione del presente. Se dunque non si può cambiare il proprio mondo, non se ne sente il bisogno o non se ne ha l'ambizione, quale carica di speranza e di passione potrà avere la politica? Se la sfida della politica non è più cimentarsi con la realtà per darle una nuova forma socialmente più condivisa, ma ci ripetono che non c'è un altro mondo possibile, che il mondo va così, che la politica deve limitarsi a gestire al meglio, se la politica viene ridotta a semplice tecnica di amministrazione, allora a che serve impegnarsi e investire se stessi nella sfera politica?
In terzo luogo, ci si chiede a che serve votare democraticamente i propri rappresentanti se quando sono eletti - sebbene persone perbene ed oneste - non possono toccare alcuni nodi dell'organizzazione generale dell'economia e della società? A che serve la democrazia se può occuparsi solo di manutenzione ordinaria e non di quella straordinaria e tanto meno di nuove progettazioni? A quel punto basta nominare un tecnico che faccia da commissario permanente.
In quarto luogo, se ci ritroviamo come individui-atomi lasciato "programmaticamente" soli nella lotta per la sopravvivenza e per il riconoscimento nella società del tutti contro tutti, non è così improbabile che si sviluppi un'abitudine culturale di sfiducia nei confronti di ogni luogo collettivo e nella possibilità di cambiare le cose attraverso l'attività dei gruppi organizzati.

Tutto ciò premesso, come possiamo provare a chiamarci fuori da questo circolo vizioso? Magari ri-cominciando a osservare con occhi "nuovi" cose "vecchie" ci accorgeremmo di alcune mancanze decisive.
Mancano luoghi sociali e politici dove gli individui possono imparare a decodificare la realtà, leggere le situazioni ed essere protagonisti in una dimensione collettiva, collegiale, di un gruppo.
Mancano luoghi politici organizzati e impregnati di idee su come funziona il mondo per dare senso alla realtà, anche a quella del proprio condominio privato dimodoché ognuno possa ricondurre le situazioni particolari a un senso generale e sentirsi meno "spaesato" in casa propria.
Mancano luoghi politici strutturati in cui ci si abitua al confronto e alla mediazione, si imparano i più svariati linguaggi, ci si esercita costantemente nel rapporto con l'altro.
Mancano, insomma, quei corpi intermedi tra le istituzioni politiche e il cittadino-individuo-atomo, tra la Società e lo Stato senza cui il collante della comunità rinsecchisce e l'albero sociale diventa meno flessibile, più fragile e più esposto alle fratture.
Senza questo collante intermedio il singolo cittadino rimane da solo a cimentarsi con le Istituzioni e non può fare altro che sviluppare tentativi individuali o di clan per auto-garantirsi dal punto di vista materiale (clientelismo e patronato nel rapporto con il politico di turno) e/o simbolico (populismo qualunquistico e rigetto dell'altro).

Per questo siamo interessati al messaggio di Azione Cattolica, non solo quando scrive che «Urge, in tal senso, far scaturire e sostenere con sempre maggior convinzione esperienze di cittadinanza attiva capaci di formare cittadini responsabili, informati, formati e capaci di creare processi partecipativi e politici nuovi negli stili, nei contenuti e nelle prassi» ma soprattutto quando fa un appello affinché «tutti i partiti e i contenitori "civici" messi in piedi in questa tornata elettorale possano continuare negli anni, in maniera organizzata, a rappresentare luoghi di formazione alla politica e di crescita generazionale».
Ci ritroviamo su questa lunghezza d'onda, soprattutto perché dopo venti anni e più di ostinata resistenza alla personalizzazione della politica e al populismo in varie forme, siamo ancor più convinti che una democrazia forte è quella in cui i cittadini si organizzano in soggetti politici o partiti con solide radici culturali, programmi discussi permanentemente, sedi organizative insediate nei territori, attivismo riconoscibille e non ridotto al periodo strettamente elettorale, capacità di dialogo con gli organismi associativi espressione della società ma senza rinunciare al dovere-diritto di una proposta generale di sintesi di bisogni, interessi, aspettative e speranze.

E proprio perché condividiamo l'appello di Azione Cattolica «a tutti i partiti e i contenitori "civici" a continuare in maniera organizzata a rappresentare luoghi di formazione alla politica e di crescita generazionale», crediamo che non si debba stigmatizzare un po' contraddittoriamente rispetto a quanto appena detto, ancora una volta i famigerati «tavoli delle segreterie» poiché sono anch'essi momenti e sedi fondamentali in cui i partiti e i contenitori "civici" si organizzano e danno continuità alla formazione politica e alla crescita generazionale.
Sappiamo che può non essere popolare, visto lo spirito del tempo, fare i difensori d'ufficio dei partiti e delle tanto vituperate segreterie, ma chi scrive può dire di aver fatto preziosa esperienza politica e amministrativa anche in questi organismi ristretti che non necessariamente hanno un valore antidemocratico, poiché una democrazia che si organizza e funziona è quella che si struttura in più livelli, è quella che tiene in sè l'esigenza dei molti e dell'unità, della pluralità e della decisione stringente, che assicura dibattito e decisione, che garantisce il diritto alla discussione ma assicura anche il dovere dell'azione per chi sceglie liberamente di assumersi responsabilità pubbliche. Se una democrazia elimina il momento della pluralità degenera in oligarchia, se, invece, elimina il momento della decisione unitaria degenera in anarchia.

Per questo crediamo che non sia più tempo di facili e stantie retoriche contro i luoghi "ristretti" che siano essi segreterie, coordinamenti, direttivi, presidenze che impedirebbero la partecipazione. Piuttosto affacciamo l'ipotesi che a causare la crisi di partecipazione e il gap di cui parla AC possano essere paradossalmente la debolezza dei centri decisionali e la demolizione dell'autorevolezza della funzione dirigente in quanto tale. Del resto quanto la dimensione orizzontale della partecipazione sia intimamente legata alla dimensione verticale della guida non abbisogna di ulteriori elementi di prova, specie per quanti provengono da un mondo organizzato come quello cattolico che assicura contemporaneamente il livello dell'orizzontalità, della partecipazione, dell'"ecclesia catholica", universale appunto, e quello verticale della decisione, della responsabilità pastorale che indica la via. Per chiunque abbia esperienza di gruppi e organizzazioni collettive non è certo con l'assemblearismo di facciata che si favorisce la partecipazione. Il vero problema della partecipazione di questi ultimi anni è stata l'ubriacatura e l'illusione di un certo assemblearismo orizzontale senza regole, in cui apparentemente si è tutti uguali ma poi prevalgono alcuni "più uguali degli altri", quelli più forti e più dotati che spiccano per acclamazione e senza controlli dal basso, quelli che magari hanno preparato già tutto dietro le quinte della partecipazione "messa in scena" e assumono il potere sull'onda di emotività e leaderismi che non aiutano a crescere e rafforzare tutti gli appartenenti al gruppo.

Sono tutti meccanismi di cui a volte, magari con intermittenza avvertiamo l'esistenza, ma che per smascherare bisogna individuare andando contro una certa moda corrente. Infine, sarebbe utile che oltre a proporre Codici etici spesso in prossimità di presentazione delle liste elettorali, e dunque a valle dei fenomeni di partecipazione politica, si osservassero tra un'elezione e l'altra, in presa diretta e costante, esempi e percorsi di organizzazione e partecipazione politica - diciamo così, "a monte" dei momenti elettorali. In questo modo potrebbe essere più efficace da parte di tutti i soggetti associativi la critica ai partiti che non funzionano da partiti ma solo da comitati elettorali oppure sarebbe più facile distinguere per tempo le liste civiche che sono esempio di «generazione di nuova passione per la cosa pubblica, di partecipazione attiva, di freschezza negli stili e nei metodi» da quelle che sono «sostanzialmente delle operazioni di "maquillage" personale e politico dietro cui si sono celati esponenti di partiti del recente passato, fuoriusciti dagli stessi per diversificati motivi» oppure - aggiungiamo noi - appartenenti ad altre liste civiche nelle passate tornate elettorali.

Si tratta ovviamente di alcune pro-vocazioni che abbiamo voluto rilanciare, dopo aver raccolto quelle di AC che ringraziamo, non solo per l'augurio a svolgere una sana e robusta opposizione che generi interesse e coinvolgimento tra la gente, portando i temi della città nelle piazze e per le strade, ma soprattutto per lo stimolo al dibattito pubblico nelle città della diocesi che il suo documento sicuramente produrrà.