Viva la storia di Molfetta!
La Molfetta del 1700
I racconti e le testimonianze sulla città
sabato 8 agosto 2020
C'era un tempo in cui non esistevano viaggi organizzati, tour operator o crociere. Gli interrail e i soggiorni Erasmus erano impensabili e i giovani europei avevano un solo modo per conoscere il mondo: partire per il Grand Tour. Futuri governanti, artisti, scrittori studiosi, andavano alla scoperta della cultura del loro continente, attraverso le opere d'arte dei secoli passati, i reperti dell'antichità o entrando in contatto con grandi uomini di scienza. Durante il viaggio, avevano modo di conoscere la vita al di fuori della sua corte, imparare nuove lingue, commissionare ritratti o acquistare opere d'arte. È proprio dal Grand Tour, che deriva il termine "turismo" per come lo intendiamo: un modo di viaggiare fine a sé stesso, caratterizzato dal desiderio dei viaggatori di conoscere cose nuove e scambiarsi opinioni sulla loro esperienza.
La meta finale del viaggio era solitamente l'Italia, con le sue innumerevoli tracce di civiltà passate e il numero impressionante di dipinti, affreschi e opere architettoniche.
Le tappe obbligatorie erano Venezia, Roma e Firenze, ma c'era chi si avventurava fino a Napoli, alla scoperta delle rovine di Pompei o ancora più giù, fino alla Sicilia e ai segni rimasti della cultura greca. Gli spostamenti avvenivano sempre lungo un percorso ben definito dai precedenti viaggiatori: non era consigliabile infatti uscire da questi tragitti, per via dell'alto rischio di brigantaggio.
Anche Molfetta come tante altre città della Puglia, viene menzionata negli appunti di viaggio di questi vacanzieri "ante litteram"; ecco dunque alcune loro testimonianze.
Il primo viaggiatore settecentesco spintosi a Molfetta, del quale sia stato possibile rintracciare notizia è il celebre matematico e filosofo irlandese George Berkeley. Nel suo diario di viaggio parla così della città:"...Molfetta, una piccola città con un muro di cinta, torri e edifici di marmo bianco. Uno splendido convento dei Domenicani, con una chiesa architettonicamente straordinaria, e un altro dalla bella faccia ricca di statue (probabilmente si riferiva alla chiesa del Purgatorio). N.B l'enorme lucertola verde (si trattava del ramarro) vista credo a Canosa. Molfetta ha un collegio di Gesuiti nel…un gran convento di Minori Osservanti. il numero degli abitanti è ridotto, proporzionato alla Città".
Dopo una cinquantina di anni, nella tarda primavera del 1767 toccò di passaggio a Molfetta il ventisettennte Johan Hermann von Riedesel, barone di Eisenbach, alto funzionario prussiano. Egli descrive così la città: "Da Bari si va a Barletta, per una delle più belle e deliziose vie: somiglia a quel cammino tanto celebrato, che conduce da Ginevra a Losanna in Svizzera. Di quattro miglia, s'incontra un piccolo villaggio, e la campagna è molto coltivata. Giovinazzo e Molfetta sono bellamente situate graziose".
Dieci anni più tardi si avventurò nelle contrade meridionali il secondogenito di un baronetto del Northumberland, Henry Swinburne. Dopo varie notizie su Bisceglie, Swinburne passa a descrivere rapidamente Molfetta: "…Io non entrai fra le sue mura, ma passai per un suburbio ben costruito. L'aspetto esteriore del paese è bello; ma la sbirciata che diedi attraverso la porta della città non mi mostrò nient'altro che alte case all'antica e vie strette e sporche. Vien detto che contiene dodicimila abitanti e che esercita qualche commercio in mandorle e olio".
Diversi anni dopo, nel 1778, un gruppo di francesi, partito da Napoli passò per Molfetta verso il 22 – 23 aprile. Era capitanato dal barone Dominique Vivant de Non. L'équipe era incaricata di raccogliere notizie e segnare scorci urbani del Meridione e monumenti della Magna Grecia. Essi raccontano: "Ci riposammo a Molfetta, città di aspetto molto considerevole sia per posizione che per i materiali con i quali è costruita ma il cui interno è più rozzo e sporco di quello di Bisceglie. Fummo seguiti e attorniati allo stesso modo che nelle altre città che avevamo attraversato dopo Napoli. Ci volevano veder mangiare, camminare e si mettevano ad osservare tutto quello che noi guardavamo. Domandammo il motivo di questa curiosità e ci fu risposto con franchezza che il passaggio di uno straniero era così raro in quel paese che diveniva oggetto di curiosità per i paesani che ne parlavano poi per parecchi giorni, come di un avvenimento straordinario; peraltro è gente buona ed educata ed ha soprattutto il buon senso di riconoscere la bontà del paese che gli ospita e di sentirsene contenti. Interrogammo parecchi di questi paesani che avevano senz'altro un aspetto magnifico e ben pasciuto ed essi convennero che le loro terre provvedevano in abbondanza di tutto e tutto di buona qualità. In effetti olio, vino e frumento sono eccellenti".
Ma le testimonianze non finiscono con il Gran Tour.
Ad esempio, nel 1788, passò da Molfetta il ricco commerciante d'olio e notaio galliponiano Bartolomeo Ravenna. Trovò la città ingombra di sporcizie (per l'abbandono dell'immondizia usuale anche in altre contrade italiane e per il fango trascinato sulle vie del Borgo dalle acque piovane lungo le strade in pendenza. Giudicò anche incomprensibile il dialetto molfettese. Nel suo diario di viaggio scrive: "Partiti da Bari, dopo 12 miglie passammo da Giovenazzo e dopo altre 3 andiedimo a Molfetta ove riposammo al mezo giorno senza pranzare. Questa città era sporchissima, né si potea affatto camminare, e gli abitanti parlavano in un linguaggio veramente barbaro".
Perfino del diario del re Ferdinando IV si riviene qualche dato su Molfetta.
Il sovrano visitò la Puglia nel maggio del 1797 in occasione delle nozze del principe ereditario, il futuro Francesco I con Maria Clementina d'Austria. Eccone uno stralcio: "Tutto il paese attraversato è un continui giardino, e specialmente da Mola di Bari incontrandosi l'una dopo l'altra le città di Bari, Giovinazzo, Molfetta e Bisceglia, tutte belle e sul mare. Da per tutto sono stato sommamente acclamato […] Cambiatomi, giunta una spedizione di Vienna per Trieste e Molfetta con buone nuove della Sposa".
Fonte bibliografica:
Marco Ignazio de Santis, "Molfetta nella descrizione di viaggiatori del Settecento e le vicende della miniera borbonica al Pulo", La nuova Mezzina, Molfetta 2010.
La meta finale del viaggio era solitamente l'Italia, con le sue innumerevoli tracce di civiltà passate e il numero impressionante di dipinti, affreschi e opere architettoniche.
Le tappe obbligatorie erano Venezia, Roma e Firenze, ma c'era chi si avventurava fino a Napoli, alla scoperta delle rovine di Pompei o ancora più giù, fino alla Sicilia e ai segni rimasti della cultura greca. Gli spostamenti avvenivano sempre lungo un percorso ben definito dai precedenti viaggiatori: non era consigliabile infatti uscire da questi tragitti, per via dell'alto rischio di brigantaggio.
Anche Molfetta come tante altre città della Puglia, viene menzionata negli appunti di viaggio di questi vacanzieri "ante litteram"; ecco dunque alcune loro testimonianze.
Il primo viaggiatore settecentesco spintosi a Molfetta, del quale sia stato possibile rintracciare notizia è il celebre matematico e filosofo irlandese George Berkeley. Nel suo diario di viaggio parla così della città:"...Molfetta, una piccola città con un muro di cinta, torri e edifici di marmo bianco. Uno splendido convento dei Domenicani, con una chiesa architettonicamente straordinaria, e un altro dalla bella faccia ricca di statue (probabilmente si riferiva alla chiesa del Purgatorio). N.B l'enorme lucertola verde (si trattava del ramarro) vista credo a Canosa. Molfetta ha un collegio di Gesuiti nel…un gran convento di Minori Osservanti. il numero degli abitanti è ridotto, proporzionato alla Città".
Dopo una cinquantina di anni, nella tarda primavera del 1767 toccò di passaggio a Molfetta il ventisettennte Johan Hermann von Riedesel, barone di Eisenbach, alto funzionario prussiano. Egli descrive così la città: "Da Bari si va a Barletta, per una delle più belle e deliziose vie: somiglia a quel cammino tanto celebrato, che conduce da Ginevra a Losanna in Svizzera. Di quattro miglia, s'incontra un piccolo villaggio, e la campagna è molto coltivata. Giovinazzo e Molfetta sono bellamente situate graziose".
Dieci anni più tardi si avventurò nelle contrade meridionali il secondogenito di un baronetto del Northumberland, Henry Swinburne. Dopo varie notizie su Bisceglie, Swinburne passa a descrivere rapidamente Molfetta: "…Io non entrai fra le sue mura, ma passai per un suburbio ben costruito. L'aspetto esteriore del paese è bello; ma la sbirciata che diedi attraverso la porta della città non mi mostrò nient'altro che alte case all'antica e vie strette e sporche. Vien detto che contiene dodicimila abitanti e che esercita qualche commercio in mandorle e olio".
Diversi anni dopo, nel 1778, un gruppo di francesi, partito da Napoli passò per Molfetta verso il 22 – 23 aprile. Era capitanato dal barone Dominique Vivant de Non. L'équipe era incaricata di raccogliere notizie e segnare scorci urbani del Meridione e monumenti della Magna Grecia. Essi raccontano: "Ci riposammo a Molfetta, città di aspetto molto considerevole sia per posizione che per i materiali con i quali è costruita ma il cui interno è più rozzo e sporco di quello di Bisceglie. Fummo seguiti e attorniati allo stesso modo che nelle altre città che avevamo attraversato dopo Napoli. Ci volevano veder mangiare, camminare e si mettevano ad osservare tutto quello che noi guardavamo. Domandammo il motivo di questa curiosità e ci fu risposto con franchezza che il passaggio di uno straniero era così raro in quel paese che diveniva oggetto di curiosità per i paesani che ne parlavano poi per parecchi giorni, come di un avvenimento straordinario; peraltro è gente buona ed educata ed ha soprattutto il buon senso di riconoscere la bontà del paese che gli ospita e di sentirsene contenti. Interrogammo parecchi di questi paesani che avevano senz'altro un aspetto magnifico e ben pasciuto ed essi convennero che le loro terre provvedevano in abbondanza di tutto e tutto di buona qualità. In effetti olio, vino e frumento sono eccellenti".
Ma le testimonianze non finiscono con il Gran Tour.
Ad esempio, nel 1788, passò da Molfetta il ricco commerciante d'olio e notaio galliponiano Bartolomeo Ravenna. Trovò la città ingombra di sporcizie (per l'abbandono dell'immondizia usuale anche in altre contrade italiane e per il fango trascinato sulle vie del Borgo dalle acque piovane lungo le strade in pendenza. Giudicò anche incomprensibile il dialetto molfettese. Nel suo diario di viaggio scrive: "Partiti da Bari, dopo 12 miglie passammo da Giovenazzo e dopo altre 3 andiedimo a Molfetta ove riposammo al mezo giorno senza pranzare. Questa città era sporchissima, né si potea affatto camminare, e gli abitanti parlavano in un linguaggio veramente barbaro".
Perfino del diario del re Ferdinando IV si riviene qualche dato su Molfetta.
Il sovrano visitò la Puglia nel maggio del 1797 in occasione delle nozze del principe ereditario, il futuro Francesco I con Maria Clementina d'Austria. Eccone uno stralcio: "Tutto il paese attraversato è un continui giardino, e specialmente da Mola di Bari incontrandosi l'una dopo l'altra le città di Bari, Giovinazzo, Molfetta e Bisceglia, tutte belle e sul mare. Da per tutto sono stato sommamente acclamato […] Cambiatomi, giunta una spedizione di Vienna per Trieste e Molfetta con buone nuove della Sposa".
Fonte bibliografica:
Marco Ignazio de Santis, "Molfetta nella descrizione di viaggiatori del Settecento e le vicende della miniera borbonica al Pulo", La nuova Mezzina, Molfetta 2010.