
«La storia di Biagio è un grande punto di partenza per la ricerca»
Prevista una raccolta fondi per studiare la rara Malattia di Lafora
Molfetta - mercoledì 15 gennaio 2020
10.35
La sua storia ha commosso non solo la città di Molfetta, dove in tanti lo conoscevano, ma anche il resto della Puglia. Perché la storia di un ragazzo di 24 anni che lascia anzitempo il proprio percorso di vita, non può che far male. Perché quando tutto parte da malattie rare, anzi rarissime, viene ancora più da riflettere. Per trovare delle spiegazioni, quelle che la logica spesso non è in grado di afferrare. Ma, soprattutto, per provare a cercare delle soluzioni.
La Malattia di Lafora, che ha portato via il giovane Biagio de Gennaro, è una forma particolarmente grave di epilessia mioclonica progressiva, caratterizzata da crisi epilettiche e da un graduale deterioramento motorio e cognitivo. Essendo una epilessia dell'età evolutiva, che colpisce i giovanissimi, necessita di studi diversi rispetto a quelli effettuati sui bambini. Il suo papà Leo, come il resto della famiglia e i suoi amici più cari, hanno combattuto strenuamente insieme a Biagio contro un male talmente raro da colpire appena 30 persone in tutta Italia, di cui 8 in Puglia e addirittura ben 3 solo nella città di Molfetta. Si è trattato di una lotta quotidiana dal lontano 2008, quando si è manifestata la prima crisi che ha fatto accendere i riflettori su qualcosa che non andasse. Da allora, è iniziato un lungo percorso che adesso continua, proprio nel segno di Biagio: «Quando ci si trova ad affrontare situazioni come questa - racconta Leo - abbiamo il dovere di assumere una nuova prospettiva che ci aiuti a vedere la morte come un punto di partenza per della nuova vita. Serve coraggio».
Proprio per fare di questo triste evento un presupposto di positività futura, è stata prevista una raccolta fondi con l'associazione AmicaMente, grazie al supporto della Dott.ssa La Selva e al gruppo di studio di Neurologia dell'Università di Foggia che ha seguito i casi pugliesi di questa malattia, per promuovere una borsa di studio in grado di sostenere il percorso di una specialista, Alessandra Lalla che, insieme all'epilettologo Dott. Giuseppe d'Orsi, è stata vicina a Biagio in tutto questo tempo: «Abbiamo promesso a noi stessi di non fermarci, di andare avanti e continuare a lavorare. Vorremmo organizzare un workshop nazionale tra settembre e ottobre, invitando le famiglie italiane per una campagna di sensibilizzazione. Ad oggi non ci sono ancora terapie ma sono fiducioso che entro un paio d'anni qualcosa emergerà. L'incidenza in Italia è di una persona colpita su 1,5 milioni mentre a Molfetta di una su 20mila. Bisogna fare un lavoro specifico di emersione del sommerso, perché su questo fronte la ricerca è ancora in fase embrionale. Ecco perché la raccolta fondi ha bisogno di sostegno. Credo sia più importante un piccolo contributo dato da molti piuttosto che il contrario».
La ricerca è l'unica chiave per favorire non solo la consapevolezza ma anche la prevenzione: «Occorre accendere un faro su questo male, come su tanti altri che sono rari ma presenti sul nostro territorio. Effettuare prelievi sanguigni e analisi genetiche può diventare fondamentale per scoprire situazioni a rischio e ricostruire gli alberi genealogici delle famiglie per uno screening più completo. Una diagnosi rapida permette di contrastare meglio le conseguenze della malattia, per la quale è comunque importante mantenere un certo dinamismo per rallentare i processi di decadimento cognitivo. Per tale ragione, ad esempio, è stato importante il suo essere scout, perché anche questo contribuiva a tenerlo vivo, a fargli avvertire affetto e senso di appartenenza a un gruppo, anche nei momenti più duri. Io stesso, per coinvolgerlo, avevo ideato attività come la costruzione di un orticello per renderlo ancora attivo in qualcosa che potesse renderlo impegnato e felice».
Una storia triste da cui si deve ripartire. Perché anche da un cielo annuvolato possono spuntare raggi di sole. Perché quel raggio di sole chiamato Biagio continuerà a splendere e dall'alto potrà illuminare ancora di più la via di chi gli ha voluto bene e di chi, come lui, si troverà ad affrontare questa difficile battaglia. Ripartire. Per la ricerca, ma soprattutto per Biagio. Perché lui vorrebbe così.
La Malattia di Lafora, che ha portato via il giovane Biagio de Gennaro, è una forma particolarmente grave di epilessia mioclonica progressiva, caratterizzata da crisi epilettiche e da un graduale deterioramento motorio e cognitivo. Essendo una epilessia dell'età evolutiva, che colpisce i giovanissimi, necessita di studi diversi rispetto a quelli effettuati sui bambini. Il suo papà Leo, come il resto della famiglia e i suoi amici più cari, hanno combattuto strenuamente insieme a Biagio contro un male talmente raro da colpire appena 30 persone in tutta Italia, di cui 8 in Puglia e addirittura ben 3 solo nella città di Molfetta. Si è trattato di una lotta quotidiana dal lontano 2008, quando si è manifestata la prima crisi che ha fatto accendere i riflettori su qualcosa che non andasse. Da allora, è iniziato un lungo percorso che adesso continua, proprio nel segno di Biagio: «Quando ci si trova ad affrontare situazioni come questa - racconta Leo - abbiamo il dovere di assumere una nuova prospettiva che ci aiuti a vedere la morte come un punto di partenza per della nuova vita. Serve coraggio».
Proprio per fare di questo triste evento un presupposto di positività futura, è stata prevista una raccolta fondi con l'associazione AmicaMente, grazie al supporto della Dott.ssa La Selva e al gruppo di studio di Neurologia dell'Università di Foggia che ha seguito i casi pugliesi di questa malattia, per promuovere una borsa di studio in grado di sostenere il percorso di una specialista, Alessandra Lalla che, insieme all'epilettologo Dott. Giuseppe d'Orsi, è stata vicina a Biagio in tutto questo tempo: «Abbiamo promesso a noi stessi di non fermarci, di andare avanti e continuare a lavorare. Vorremmo organizzare un workshop nazionale tra settembre e ottobre, invitando le famiglie italiane per una campagna di sensibilizzazione. Ad oggi non ci sono ancora terapie ma sono fiducioso che entro un paio d'anni qualcosa emergerà. L'incidenza in Italia è di una persona colpita su 1,5 milioni mentre a Molfetta di una su 20mila. Bisogna fare un lavoro specifico di emersione del sommerso, perché su questo fronte la ricerca è ancora in fase embrionale. Ecco perché la raccolta fondi ha bisogno di sostegno. Credo sia più importante un piccolo contributo dato da molti piuttosto che il contrario».
La ricerca è l'unica chiave per favorire non solo la consapevolezza ma anche la prevenzione: «Occorre accendere un faro su questo male, come su tanti altri che sono rari ma presenti sul nostro territorio. Effettuare prelievi sanguigni e analisi genetiche può diventare fondamentale per scoprire situazioni a rischio e ricostruire gli alberi genealogici delle famiglie per uno screening più completo. Una diagnosi rapida permette di contrastare meglio le conseguenze della malattia, per la quale è comunque importante mantenere un certo dinamismo per rallentare i processi di decadimento cognitivo. Per tale ragione, ad esempio, è stato importante il suo essere scout, perché anche questo contribuiva a tenerlo vivo, a fargli avvertire affetto e senso di appartenenza a un gruppo, anche nei momenti più duri. Io stesso, per coinvolgerlo, avevo ideato attività come la costruzione di un orticello per renderlo ancora attivo in qualcosa che potesse renderlo impegnato e felice».
Una storia triste da cui si deve ripartire. Perché anche da un cielo annuvolato possono spuntare raggi di sole. Perché quel raggio di sole chiamato Biagio continuerà a splendere e dall'alto potrà illuminare ancora di più la via di chi gli ha voluto bene e di chi, come lui, si troverà ad affrontare questa difficile battaglia. Ripartire. Per la ricerca, ma soprattutto per Biagio. Perché lui vorrebbe così.