Giuliana Sgrena
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Giuliana Sgrena presenta "Dio odia le donne" a Molfetta

La giornalista fu rapita in Iraq da un gruppo jihidaista

"Dio odia le donne": è forte, al limite del provocatorio, il titolo del libro della giornalista Giuliana Sgrena, presentato dalla stessa autrice presso la Libreria il Ghigno di Molfetta, in una serata che ha raccolto una cospicua partecipazione di pubblico, nonostante il tema sia stato definito a più riprese molto complicato da affrontare.

Il valore aggiunto dell'incontro è stato la sua trasformazione da mera presentazione a vero e proprio dibattito tra la giornalista, il pubblico presente ed il prof. Pappagallo, docente di storia e filosofia del Liceo Scientifico "A. Einstein", qui nella veste di correlatore ed interlocutore.

Giuliana Sgrena non ha bisogno di presentazioni: storica penna del quotidiano "Il Manifesto", nella sua carriera di cronista ha avuto modo di realizzare numerosi resoconti da zone di guerra, tra cui Algeria, Somalia ed Afghanistan. Durante uno di questi reportage in Iraq, viene rapita da un'associazione jihadista che la tiene detenuta per un mese, prima di essere liberata nell'operazione che costò la vita in circostanze mai del tutto chiarite all'agente del SISMI Nicola Calipari. L'esperienza del rapimento è stata richiamata dalla stessa Sgrena durante la serata: la giornalista ha infatti sostenuto che, dopo quella drammatica esperienza, si è sentita pronta ad affrontare un raffronto tra le religioni monoteiste nel loro rapporto con la donna, allargando lo spettro anche alla religione cattolica da lei precedentemente mai analizzata a causa di un rapporto di rifiuto verso la stessa, dopo un'educazione cattolica rigidamente dogmatica che l'aveva profondamente segnata fin dall'infanzia.

Il testo, quindi, si compone di rigorose citazioni dei testi sacri, delle quali l'autrice ha rivendicato orgogliosamente l'autorevolezza vista la mancanza assoluta di contestazioni mosse da alcuna sede ufficiale: tale confronto tra le tre principali religioni monoteiste porta in realtà ad una forte sovrapposizione di elementi quando si giunge al ruolo della donna. In ciascuno di questi dogmi, la donna è un individuo impuro, indegno di accostarsi al divino per la sua impudicizia, data dal mai sorpassato tabù del ciclo mestruale e del parto: le religioni, per secoli, hanno continuato ad instillare nei loro seguaci i medesimi valori, forti anche di una profonda crisi dei valori laici.
La risposta dello Stato, secondo Giuliana Sgrena, risulta essere carente o assolutamente sterilizzata anche quando sceglie di concedere diritti alle donne: un esempio chiaro è la legge sull'aborto del 1978, nella quale con una mano si riconosceva un importante diritto per la popolazione femminile, con l'altra lo si depotenziava già con la previsione dei medici obiettori di coscienza, il cui numero è salito vertiginosamente nel corso degli anni giungendo a toccare picchi del 70%, finendo per penalizzare intere province nelle quali non è possibile interrompere una gravidanza in una struttura pubblica, ma solo in quelle private.

Con indubitabile chiarezza di pensiero, Giuliana Sgrena è poi giunta anche ad identificare una sorta di percorso da seguire per compiere quella rivoluzione culturale, preconizzata dal femminismo sessantottino, guardato adesso dalle nuove generazioni con malcelato fastidio. Per la giornalista, lo Stato deve restare assolutamente laico, e non inseguire più una tolleranza che diventa pedissequa accettazione di comportamenti ed abitudini contrari finanche alla stessa legge italiana. In secondo luogo, bisognerebbe perseguire l'integrazione delle popolazioni straniere residenti in Italia persino con la "costrizione", per esempio, a frequentare corsi di italiano per le madri in orario scolare dei propri figli, piuttosto che continuare ad arenare i dibattiti su temi come il burkini neanche considerati nei paesi di origine, ma diventati di gran moda in Europa. Infatti, la maggiore singolarità del fenomeno è che le seconde generazioni di immigrati presenti in territorio italiano, come reazione alla percezione di un mondo estraneo, giungono ad irrigidirsi persino di più nelle loro posizioni e tradizioni rispetto a quanto non avvenga nella loro patria, che invece va avanti in modernizzazione: basti pensare che in Marocco, su espressa direttiva del sovrano, sono stati vietati a scuola testi con immagini di donne velate per non far nascere la convinzione nei bambini che sia normale che le donne siano tutte in questo modo.

L'incontro si è concluso con la speranza riposta proprio nei bambini che, se educati alla multiculturalità e all'uguaglianza di genere, sia a casa che a scuola, potranno creare crescendo quella rivoluzione che la donna aspetta da secoli.
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