Call Center
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Cronaca

Call center. Il lavoro «nuovo»

Lunghe liste d’attesa per impieghi part time

Poco più di 4 euro lordi l'ora. Per contratti di lavoro spesso part time legati a specifiche campagne pubblicitarie o a promozioni. Una paghetta piuttosto che vera e propria paga. Eppure, a Molfetta e nei dintorni, il lavoro nei call center è talmente ambito, che le liste di attesa per potersi «occupare» sono lunghe, anzi lunghissime. E a sperare in una chiamata giovani, spesso con una laurea in tasca, alla loro prima esperienza lavorativa, lavoratori prematuramente espulsi dai cicli produttivi, e uomini e donne che rientrano in quella nuova categoria sociale che risponde al nome di «esodati». Tutto pur di trovare un impiego.

L'invio del curriculum, un breve colloquio e quindi la «prova tecnica». E poi in lista d'attesa per sperare in quattro, sei o se tutto va per il meglio, otto ore al giorno con indosso cuffie e microfono a contattare potenziali clienti. Nei call center molfettesi sono oltre duemila gli occupati. Con un turnover che tra giovani e meno giovani ne fa girare altre migliaia. Lavori a progetto, così li chiamano. Una nuova frontiera che fa del precariato la sua forza. Spesso le aziende beneficiano di incentivi e sgravi fiscali, destinati anche all'apprendistato, per assumere. Ed è per questo che i singoli contratti difficilmente si rinnovano. In alcuni casi per non più di 36 mesi. Tre anni di lavoro, a volte anche continuativi, e poi sei fuori, a rinforzare l'esercito dei disoccupati.

Le possibilità di carriera sono ridotte al minimo. Bisogna saperci fare. E saperci fare spesso significa far buon viso a cattiva sorte, ingoiare rimostranze e ingiurie di chi si sente «disturbato» dagli operatori di call center, e nonostante questo riuscire a strappare un contratto per un nuova promozione il più delle volte legata alla telefonia mobile. Per i più giovani va bene così, contrariamente a quanto ci fa vedere una sempre più vasta filmografia. Secondo loro l'ambiente è ottimale, gioviale per nulla frustrante. Anzi quelle aziende sono all'avanguardia. Dispongono di un nido per i figli delle operatrici, i contratti di lavoro vengono rispettati fino in fondo e così via. L'ottimismo per loro è di casa.

Peccato però che le garanzie sindacali e previdenziali siano ridotte al minimo. Lo sanno bene i più adulti, quelli che il lavoro lo hanno già conosciuto, magari in aziende e fabbriche che loro malgrado hanno smesso la produzione. Si intuisce dagli sguardi sempre bassi che l'umiliazione è sempre in agguato. Per loro che hanno negli anni maturato una qualche professionalità. Ma tant'è. Il lavoro oggi è questo. Peccato che così piani per il futuro non se ne possano più fare.
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