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"Akka": il cortometraggio del molfettese Mattia de Gennaro selezionato al Festival di Cefalù

Il giovane: «Il dolore unisce perché non si fa a gara a chi soffre di più»

Lavorare con il silenzio per raccontare l'anima di una città abbandonata e, più in generale, la solitudine. Questo il progetto di "Akka", il cortometraggio scritto e diretto dal giovane Mattia de Gennaro, di Molfetta, nell'ambito di una residenza artistica ad Accadia. Girato tra il 4 e il 13 agosto dello scorso anno, "Akka" è in selezione ufficiale al Festival del Cinema di Cefalù e questo non può che essere un motivo di soddisfazione per il giovane, che ha raccontato a "MolfettaViva" la storia del suo corto, frutto di un progetto dell'Accademia di Belle Arti di Foggia.

«Quando sono partito avevo già scritto il mio soggetto - esordisce Mattia - poi mi sono ritrovato nella residenza artistica insieme a colleghi di vari corsi, tra cui pittura e scultura. Tutti abbiamo avuto massima libertà autoriale e così è nato "Akka"».

Il titolo del corto ne preannuncia già il contenuto, ma lascia spazio alle piacevoli sorprese di una visione che si rispetti.

«All'inizio ci era stato chiesto di realizzare un documentario etnologico in cui si indagasse sulle persone e sull'entità del territorio protagonista - racconta Mattia - io invece ho pensato che sarebbe stata più efficace una sorta di intervista alla città stessa, vera portavoce del racconto. Ho seguito questa intuizione».
8 foto"Akka" di Mattia de Gennaro
"Akka" di Mattia de Gennaro"Akka" di Mattia de Gennaro"Akka" di Mattia de Gennaro"Akka" di Mattia de Gennaro"Akka" di Mattia de Gennaro"Akka" di Mattia de Gennaro"Akka" di Mattia de Gennaro"Akka" di Mattia de Gennaro
Nei 16 minuti di cortometraggio, infatti, è proprio Accadia ad emergere e a rivelarsi.

«"Akka" è una metafora dell'abbandono per tanto tempo - prosegue - almeno una volta nella vita, ognuno di noi ha avuto paura di essere solo o, peggio, di abituarsi alla solitudine. Volevo che il mio film parlasse di questo».

Perché, in fondo, il cinema nasce con questo obiettivo: permettere a chi guarda di immedesimarsi, di riconoscersi in sentimenti, emozioni e stati d'animo di portata universale.

«Non è un caso che il cuore del corto sia rappresentato dal dolore, che mi piace definire il comune denominatore degli uomini - sottolinea Mattia- mentre le gioie spesso sono motivo di divisione per l'invidia, il dolore unisce perchè non si fa a gara a chi soffre di più».

La vicinanza di Mattia allo stile di Pasolini e alla sua concezione della speranza lo ha portato a optare per un finale per nulla prevedibile, su cui il giovane molfettese ha riflettuto a lungo.

«Inizialmente il finale era completamente diverso - precisa - ma ho voluto lasciare che fosse la realtà a prendere il sopravvento. Ringrazio la mia troupe, composta da 5 elementi che hanno saputo fare squadra e che hanno lavorato instancabilmente».

Mattia conclude precisando che "Akka" è solo l'inizio del suo percorso che lo vedrà delineare, pian piano, la sua identità artistica.

«Tutto quello che creo nasce da un bisogno - conclude - il mio augurio è che chi lo guarda possa provare empatia».
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