Tramonta l'impero di Manganelli, i suoi beni definitivamente confiscati
Operazione dei Carabinieri dopo la pronuncia della Cassazione: il patrimonio comprende fabbricati, terreni e società per un valore di 50 milioni di euro
mercoledì 13 agosto 2025
10.51
Sono stati confiscati in via definitiva i beni di Giuseppe Manganelli. 55enne di Molfetta, detto «Pinuccio la Madonna», è stato «considerato inizialmente affiliato al gruppo Telegrafo e successivamente alla 'ndrangheta, di cui è stata documentata la pericolosità sociale», secondo l'ultima relazione semestrale dell'Antimafia.
Il decreto di confisca del patrimonio dell'uomo, suddiviso in beni immobili, compendi aziendali, beni di lusso, conti correnti vari e in un'imbarcazione da diporto, in conseguenza delle proprie attività illecite, era stato emesso dalla Terza Sezione in funzione del Tribunale della Prevenzione di Bari nel 2024 e segue il sequestro disposto dal Tribunale di Bari che nel 2021 accolse la richiesta avanzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Un capitale enorme finito nelle mani dello Stato.
Secondo l'accusa, l'associazione gestiva in modo monopolistico la piazza di spaccio di Molfetta e proprio per tali reati, l'uomo, con un passato burrascoso dopo il coinvolgimento nelle celebri operazioni "Primavera" e "Reset" degli anni '90, e ritenuto al vertice del gruppo criminale, fu condannato in via definitiva a 12 anni di reclusione. Poi l'improvviso arricchimento e gli investimenti nel settore edile che, in 10 anni, lo hanno portato a diventare il più famoso imprenditore della città.
[YOUTUBE]
Il valore del patrimonio sottratto alla disponibilità dell'uomo, e in modo particolare dei suoi familiari e dei suoi numerosi conoscenti, è pari a 50 milioni di euro. Un capitale spropositato, composto da 15 fabbricati, tra i quali la villa sul lungomare dei Crociati, con vista sul mare, dove vive, 4 terreni, per una estensione di circa 5mila metri quadrati, 5 aziende nel campo edile, 6 veicoli, una imbarcazione da diporto, 11 conti correnti e varie quote partecipative ad un fondo d'investimento.
La fortuna del 55enne, secondo le carte, deriva da «una fruttuosa carriera criminale», durante la quale è riuscito ad accumulare e a occultare cospicue somme di danaro, «con tutta probabilità provento delle attività di narcotraffico e estorsive cui lo stesso era dedito negli anni '90». A partire dal 2011, poi, avrebbe iniziato a investire nel campo del mattone, «grazie alla fittizia interposizione di alcuni prestanome». Così avrebbe costituito alcune società e diversificato gli investimenti.
L'indagine, avviata nel 2016 dai militari della Compagnia di Molfetta, all'epoca diretta dal capitano Vito Ingrosso, in simbiosi con il Nucleo Investigativo di Bari, ha consentito di verificare gli acquisti, le costituzioni aziendali e le movimentazioni finanziarie. L'attività investigativa ha evidenziato non solo l'elevata pericolosità sociale del proposto ma anche e soprattutto l'illecita provenienza dei suoi capitali, attraverso i quali il 55enne pregiudicato era riuscito a costituire il suo impero.
Il provvedimento è stato emesso dalla sesta sezione della Corte di Cassazione che, ritenendo inammissibile il ricorso difensivo, ha accolto la tesi della Procura della Repubblica di Bari che ha ricostruito «sia la carriera criminale dell'uomo, sia gli introiti dell'intero nucleo familiare, fornendo un corposo quadro indiziario in ordine alla illecita provenienza della sua ricchezza, accumulata durante gli ultimi 20 anni e che costituisce il compendio di gravi reati contro la salute pubblica».
«L'importantissimo risultato odierno, frutto della sinergia di intenti tra la magistratura barese e tutte le componenti investigative - scrive l'Arma dei Carabinieri in un comunicato stampa - conferma l'importanza strategica della lotta ai vari patrimoni illeciti accumulati dalla criminalità, sia comune e sia di tipo associativo».
Il decreto di confisca del patrimonio dell'uomo, suddiviso in beni immobili, compendi aziendali, beni di lusso, conti correnti vari e in un'imbarcazione da diporto, in conseguenza delle proprie attività illecite, era stato emesso dalla Terza Sezione in funzione del Tribunale della Prevenzione di Bari nel 2024 e segue il sequestro disposto dal Tribunale di Bari che nel 2021 accolse la richiesta avanzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Un capitale enorme finito nelle mani dello Stato.
Secondo l'accusa, l'associazione gestiva in modo monopolistico la piazza di spaccio di Molfetta e proprio per tali reati, l'uomo, con un passato burrascoso dopo il coinvolgimento nelle celebri operazioni "Primavera" e "Reset" degli anni '90, e ritenuto al vertice del gruppo criminale, fu condannato in via definitiva a 12 anni di reclusione. Poi l'improvviso arricchimento e gli investimenti nel settore edile che, in 10 anni, lo hanno portato a diventare il più famoso imprenditore della città.
[YOUTUBE]
Il valore del patrimonio sottratto alla disponibilità dell'uomo, e in modo particolare dei suoi familiari e dei suoi numerosi conoscenti, è pari a 50 milioni di euro. Un capitale spropositato, composto da 15 fabbricati, tra i quali la villa sul lungomare dei Crociati, con vista sul mare, dove vive, 4 terreni, per una estensione di circa 5mila metri quadrati, 5 aziende nel campo edile, 6 veicoli, una imbarcazione da diporto, 11 conti correnti e varie quote partecipative ad un fondo d'investimento.
La fortuna del 55enne, secondo le carte, deriva da «una fruttuosa carriera criminale», durante la quale è riuscito ad accumulare e a occultare cospicue somme di danaro, «con tutta probabilità provento delle attività di narcotraffico e estorsive cui lo stesso era dedito negli anni '90». A partire dal 2011, poi, avrebbe iniziato a investire nel campo del mattone, «grazie alla fittizia interposizione di alcuni prestanome». Così avrebbe costituito alcune società e diversificato gli investimenti.
L'indagine, avviata nel 2016 dai militari della Compagnia di Molfetta, all'epoca diretta dal capitano Vito Ingrosso, in simbiosi con il Nucleo Investigativo di Bari, ha consentito di verificare gli acquisti, le costituzioni aziendali e le movimentazioni finanziarie. L'attività investigativa ha evidenziato non solo l'elevata pericolosità sociale del proposto ma anche e soprattutto l'illecita provenienza dei suoi capitali, attraverso i quali il 55enne pregiudicato era riuscito a costituire il suo impero.
Il provvedimento è stato emesso dalla sesta sezione della Corte di Cassazione che, ritenendo inammissibile il ricorso difensivo, ha accolto la tesi della Procura della Repubblica di Bari che ha ricostruito «sia la carriera criminale dell'uomo, sia gli introiti dell'intero nucleo familiare, fornendo un corposo quadro indiziario in ordine alla illecita provenienza della sua ricchezza, accumulata durante gli ultimi 20 anni e che costituisce il compendio di gravi reati contro la salute pubblica».
«L'importantissimo risultato odierno, frutto della sinergia di intenti tra la magistratura barese e tutte le componenti investigative - scrive l'Arma dei Carabinieri in un comunicato stampa - conferma l'importanza strategica della lotta ai vari patrimoni illeciti accumulati dalla criminalità, sia comune e sia di tipo associativo».