Troppa attesa al pronto soccorso di Bari: il calvario di una famiglia di Molfetta

Al Giovanni XXIII «Un caso che porta alla luce una problematica ben più grave inerente alla mancata organizzazione»

martedì 16 gennaio 2024 12.32
Dieci ore per poter ricoverare un ragazzo disabile, 14 anni, il cui ricovero urgente era già stato prescritto dalla pediatra. È il calvario che ha vissuto ieri una famiglia di Molfetta all'ospedale pediatrico "Giovanni XXIII" di Bari. A denunciarlo è Saverio Bufi, presidente della Molfetta Calcio e amministratore delegato di Noienergia.

«Da qualche mese mio figlio sta avendo problemi con il vomito: quando rimette non riesce a fermarsi, sta bene solo per poche ore e rimette in continuazione, fino ad arrivare alla disidratazione – spiega il papà, che ha raccontato la vicenda alla redazione – dopo Natale, la situazione si è ripresentata di nuovo domenica scorsa».

Già prima delle festività la famiglia, d'accordo con la pediatra che segue il giovane, aveva deciso di ricoverarlo la volta seguente mentre il fenomeno si manifestava, per poterlo monitorare. Ieri mattina, intorno alle ore 12:00, la pediatra gli ha prescritto un "impegnativo ricovero urgente a Bari". La famiglia è giunta al "Giovanni XXIII" intorno alle ore 13:00.

«Dopo aver fatto il triage ci è stato dato il codice azzurro, siamo entrati nel Pronto Soccorso dopo mezz'ora, dicendo al medico che ci ha seguito che eravamo lì per un ricovero – prosegue il padre – ma il dottore era contrario, gli ha fatto il controllo della disidratazione e gli ha prescritto un farmaco, consigliandoci di tornare per il ricovero solo se il medicinale non avesse avuto effetto».

La famiglia molfettese ha quindi fatto ritorno a casa per seguire le direttive del medico. «Alle 18:00 una chiamata di mia moglie mi allarma: Luigi è tornato a vomitare, così ci precipitiamo a Bari, arriviamo lì per le 19.15, c'era di turno lo stesso dottore ma non ci fanno entrare – continua – siamo entrati nel pronto soccorso alle 20:56, dopo un'ora e tre quarti di attesa».

Un lasso di tempo che per la famiglia è sembrato infinito e durante il quale sono state fatte chiamate anche a Carabinieri e Vigili del Fuoco. «Per poter accedere abbiamo dovuto litigare, nel frattempo il medico che ci aveva seguito aveva terminato il suo turno ed è andato via, quindi ci ha seguito il dottore che aveva appena attaccato il turno serale».

Ma non è finita qui. «Ci sono voluti ben 40 minuti per effettuar un clistere, che non ha risolto la problematica di mio figlio e altri 45 minuti per un'ecografia all'addome».

Tutto questo trambusto ha portato a farsi le 22:30.«Dopo dieci ore non sapevamo ancora se Luigi, che nel frattempo aveva rimesso di nuovo, potesse essere ricoverato – racconta– la decisione arriva soltanto a mezzanotte meno un quarto, quando mio figlio è stato finalmente ricoverato assieme a mia moglie».

«Si tratta di un caso che porta alla luce una problematica ben più grave inerente alla mancata organizzazione dei processi all'interno del Pronto Soccorso. Non dobbiamo aspettare che muoia un bambino per intervenire e per migliorare una macchina organizzativa che deve funzionare».