Numeri da record per il Centro recupero tartarughe di Molfetta
Nei primi due mesi dell'anno sono stati salvati 100 esemplari
sabato 27 febbraio 2016
11.00
Un 2016 all'insegna del superlavoro per il Centro Recupero Tartarughe Marine WWF di Molfetta.
Nei giorni scorsi infatti è arrivata una nuova, è la numero 100 dall'inizio dell'anno. "Eritrea", questo il nome con cui i volontari del centro l'hanno voluta battezzare, è stata recuperata a strascico dal motopeschereccio "Nuova Giovanna" della marineria di Bisceglie. Un apporto fondamentale, quello delle marinerie, a cominciare da quelle di Molfetta, Bisceglie e Monopoli, che consente di recuperare e, dopo le dovute cure se necessarie, rilasciare rilasciare in mare non meno dell'85% degli esemplari. E grazie agli accordi messi in cantiere dal centro di recupero con le marinerie, il numero dei pescherecci "turtle friendly" è in aumento. Questo si traduce nella possibilità di moltiplicate le occasioni di messa in salvo delle tartarughe marine che nella maggior parte dei casi sono della specie "Caretta caretta".
«Quelli del centro tartarughe molfettese - ha sottolineato la presidente WWF Donatella Bianchi - sono numeri da record. Confermano l'importanza della collaborazione con le marinerie e i pescatori, ma anche il buon funzionamento della rete di soccorso a terra. L'esperienza di Molfetta, e del lavoro decennale del nostro centro di eccellenza è un esempio straordinario di sinergia tra istituzioni, operatori della pesca, della ricerca e del soccorso. Ma il nostro grazie va soprattutto ai pescatori che rendono possibile questo risultato. Solo pochi anni fa catturare una tartaruga marina era sinonimo di cattiva pesca, oggi, grazie alla crescente sensibilità dei pescatori che rispettano il mare e operano nella piena legalità nonostante le difficoltà che il settore attraversa, è un'occasione per proteggere il mare».
La collaborazione, poi, tra il Centro Recupero Tartarughe di Molfetta e il gruppo di ricerca del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell'Università di Bari, coordinato dal prof. Antonio Di Bello, ha consentito di diagnosticare su un numero ingente di "Caretta caretta" pescate a strascico, una patologia grave, spesso letale, individuata di recente come embolia gassosa associata a Malattia da Decompressione.
«Si tratta di una patologia ben conosciuta in medicina umana derivante dalla formazione di bolle gassose in un organismo, provocata dalla mancata eliminazione di gas inerti (azoto) dopo un immersione e soprattutto dopo risalite repentine in superficie – sottolinea il prof. Di Bello – Questa patologia nelle tartarughe marine è dovuta al fatto che gli animali catturati dalle reti vengono trascinati troppo velocemente verso la superficie marina, esponendoli ad una decompressione repentina che può essere letale. Fino a pochi anni fa si riteneva che gli animali che si immergono in apnea come i mammiferi e le tartarughe marine non potessero essere colpiti dalla MDD. In realtà la patologia è stata riscontrata e comprovata scientificamente anche su questi animali ma gli studi sono ancora all'inizio e molto scarsi. Quello che è certo è che il suo impatto sulla popolazione di tartarughe del Mediterraneo è probabilmente drammatico poiché quando gli animali pescati a strascico vengono rilasciati in mare, e accade ancora spesso, non mostrano, appena liberati dalle reti, sintomi evidenti. Quei sintomi si manifestano nell'arco di poche ore dal rilascio, condannando gli animali a morte certa. Gli animali pescati a strascico vanno spesso incontro anche ad annegamento ed è essenziale una diagnosi differenziale considerando che possono essere colpiti contemporaneamente da entrambe le affezioni».
Per salvare il numero più alto di animali possibile bisognerebbe agire non soltanto sulle modalità di pesca, soprattutto in certi periodi dell'anno, ma anche attraverso una capillare informazione dei pescatori (soprattutto quelli che effettuano la pesca a strascico). «Le tartarughe marine – conclude Di Bello – non vanno mai liberate immediatamente in mare ma conferite ad un centro di recupero, con esperti in grado di stabilire diagnosi e cura. Inoltre sono essenziali per la sopravvivenza delle tartarughe marine ulteriori studi mirati e approfonditi sull'embolia gassosa da MDD, allo scopo di individuare la terapia più idonea che probabilmente come nell'uomo risulterà essere la terapia iperbarica».
Per Pasquale Salvemini, responsabile del centro di recupero di Molfetta, «si tratta di un ottimo risultato quello ottenuto nei primi due mesi dell'anno, e sicuramente la nuova struttura di Bisceglie sarà ottimale per proseguire sia sulla sensibilizzazione delle marinerie del medio e basso Adriatico, ma anche per promuovere una più accurata ricerca scientifica, essenziale per chi opera nella conservazione di una specie minacciata».
In tutto il Mediterraneo si stima che ogni anno vengono catturate accidentalmente negli attrezzi da pesca più di 130.000 esemplari di "Caretta caretta", una delle sette specie di tartaruga che lo popolano. Oltre 40.000 esemplari non sopravvivono. Solo in Italia la pesca accidentale colpirebbe più di 20.000 esemplari l'anno.
Nei giorni scorsi infatti è arrivata una nuova, è la numero 100 dall'inizio dell'anno. "Eritrea", questo il nome con cui i volontari del centro l'hanno voluta battezzare, è stata recuperata a strascico dal motopeschereccio "Nuova Giovanna" della marineria di Bisceglie. Un apporto fondamentale, quello delle marinerie, a cominciare da quelle di Molfetta, Bisceglie e Monopoli, che consente di recuperare e, dopo le dovute cure se necessarie, rilasciare rilasciare in mare non meno dell'85% degli esemplari. E grazie agli accordi messi in cantiere dal centro di recupero con le marinerie, il numero dei pescherecci "turtle friendly" è in aumento. Questo si traduce nella possibilità di moltiplicate le occasioni di messa in salvo delle tartarughe marine che nella maggior parte dei casi sono della specie "Caretta caretta".
«Quelli del centro tartarughe molfettese - ha sottolineato la presidente WWF Donatella Bianchi - sono numeri da record. Confermano l'importanza della collaborazione con le marinerie e i pescatori, ma anche il buon funzionamento della rete di soccorso a terra. L'esperienza di Molfetta, e del lavoro decennale del nostro centro di eccellenza è un esempio straordinario di sinergia tra istituzioni, operatori della pesca, della ricerca e del soccorso. Ma il nostro grazie va soprattutto ai pescatori che rendono possibile questo risultato. Solo pochi anni fa catturare una tartaruga marina era sinonimo di cattiva pesca, oggi, grazie alla crescente sensibilità dei pescatori che rispettano il mare e operano nella piena legalità nonostante le difficoltà che il settore attraversa, è un'occasione per proteggere il mare».
La collaborazione, poi, tra il Centro Recupero Tartarughe di Molfetta e il gruppo di ricerca del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell'Università di Bari, coordinato dal prof. Antonio Di Bello, ha consentito di diagnosticare su un numero ingente di "Caretta caretta" pescate a strascico, una patologia grave, spesso letale, individuata di recente come embolia gassosa associata a Malattia da Decompressione.
«Si tratta di una patologia ben conosciuta in medicina umana derivante dalla formazione di bolle gassose in un organismo, provocata dalla mancata eliminazione di gas inerti (azoto) dopo un immersione e soprattutto dopo risalite repentine in superficie – sottolinea il prof. Di Bello – Questa patologia nelle tartarughe marine è dovuta al fatto che gli animali catturati dalle reti vengono trascinati troppo velocemente verso la superficie marina, esponendoli ad una decompressione repentina che può essere letale. Fino a pochi anni fa si riteneva che gli animali che si immergono in apnea come i mammiferi e le tartarughe marine non potessero essere colpiti dalla MDD. In realtà la patologia è stata riscontrata e comprovata scientificamente anche su questi animali ma gli studi sono ancora all'inizio e molto scarsi. Quello che è certo è che il suo impatto sulla popolazione di tartarughe del Mediterraneo è probabilmente drammatico poiché quando gli animali pescati a strascico vengono rilasciati in mare, e accade ancora spesso, non mostrano, appena liberati dalle reti, sintomi evidenti. Quei sintomi si manifestano nell'arco di poche ore dal rilascio, condannando gli animali a morte certa. Gli animali pescati a strascico vanno spesso incontro anche ad annegamento ed è essenziale una diagnosi differenziale considerando che possono essere colpiti contemporaneamente da entrambe le affezioni».
Per salvare il numero più alto di animali possibile bisognerebbe agire non soltanto sulle modalità di pesca, soprattutto in certi periodi dell'anno, ma anche attraverso una capillare informazione dei pescatori (soprattutto quelli che effettuano la pesca a strascico). «Le tartarughe marine – conclude Di Bello – non vanno mai liberate immediatamente in mare ma conferite ad un centro di recupero, con esperti in grado di stabilire diagnosi e cura. Inoltre sono essenziali per la sopravvivenza delle tartarughe marine ulteriori studi mirati e approfonditi sull'embolia gassosa da MDD, allo scopo di individuare la terapia più idonea che probabilmente come nell'uomo risulterà essere la terapia iperbarica».
Per Pasquale Salvemini, responsabile del centro di recupero di Molfetta, «si tratta di un ottimo risultato quello ottenuto nei primi due mesi dell'anno, e sicuramente la nuova struttura di Bisceglie sarà ottimale per proseguire sia sulla sensibilizzazione delle marinerie del medio e basso Adriatico, ma anche per promuovere una più accurata ricerca scientifica, essenziale per chi opera nella conservazione di una specie minacciata».
In tutto il Mediterraneo si stima che ogni anno vengono catturate accidentalmente negli attrezzi da pesca più di 130.000 esemplari di "Caretta caretta", una delle sette specie di tartaruga che lo popolano. Oltre 40.000 esemplari non sopravvivono. Solo in Italia la pesca accidentale colpirebbe più di 20.000 esemplari l'anno.