«Minervini ha sempre agito come unico proprietario della città»
Sono le parole con cui la gip Chiddo ha disposto i domiciliari per il 70enne sindaco di Molfetta che gestiva «come se fosse una cosa privata»
domenica 8 giugno 2025
9.05
«Il sindaco Minervini ha sempre agito come unico proprietario del bene pubblico, della città, da poter gestire come se fosse una cosa privata». Sono parole dure quelle usate dalla giudice per le indagini del Tribunale di Trani, Marina Chiddo, per giustificare i domiciliari a cui è posto da venerdì il primo cittadino di Molfetta.
Gli inquirenti, nelle 442 pagine che compongono l'indagine, parlano di una serie di «condotte illecite, relative a resti di corruzione e di turbata libertà degli incanti e nel procedimento di scelta del contraente». Condotte che «non sono state poste in essere solo per favorire gli imprenditori interessati a contrarre con la pubblica amministrazione, ma erano finalizzate a conseguire utilità personali, sebbene non economiche, consistenti in appoggio politico o relazioni di amicizia influenti».
Per il sindaco, in particolare, «sussiste ed è apprezzabile in concreto il pericolo di reiterazione dei fatti della stessa specie di quelli per i quali si procede, attestato dalle specifiche modalità e circostanze dei fatti». Fra l'altro la personalità, fra gli altri, di Minervini è quella tipica «del politico di rodata esperienza, le cui funzioni e mansioni per lungo tempo espletate all'interno degli uffici comunali e le relazioni con gli imprenditori hanno consentito di assumere un ruolo di potere primario».
Sempre per la giudice Chiddo, quella del primo cittadino di Molfetta - al suo secondo mandato di fila al comando della città dopo aver vinto le elezioni nel 2022 -, è «una personalità forte ed autoritaria» capace di intromettersi «in ogni singolo bando o appalto, esorbitando dai poteri a lui conferiti dalla legge, fino ad imporre continue pressioni al dirigente Alessandro Binetti e letteralmente consegnandolo alla gestione degli imprenditori con lui collusi, animati unicamente da lucro».
Per gli indagati, poi, «le connotazioni oggettive dei reati commessi denotano una significativa propensione al crimine, indice di una inclinazione a delinquere». Per le indagini, Minervini avrebbe attuato «le condotte delittuose» ponendosi in «un totale asservimento all'imprenditoria privata, in cambio di utili non solo di natura economica e elettorale, ma anche di gloria e onori personali, per aver attuato opere rilevanti per la città», alcune delle quali sono ancora in corso di esecuzione.
I toni della misura restano molto duri quando si parla della «spiccata inclinazione di Minervini alla consumazione di vari delitti contro la pubblica amministrazione grazie anche ad una fitta rete di rapporti clientelari che gli consentivano (e gli consentirebbero ove lasciato in libertà) di condizionare l'attività amministrativa».
Gli inquirenti, nelle 442 pagine che compongono l'indagine, parlano di una serie di «condotte illecite, relative a resti di corruzione e di turbata libertà degli incanti e nel procedimento di scelta del contraente». Condotte che «non sono state poste in essere solo per favorire gli imprenditori interessati a contrarre con la pubblica amministrazione, ma erano finalizzate a conseguire utilità personali, sebbene non economiche, consistenti in appoggio politico o relazioni di amicizia influenti».
Per il sindaco, in particolare, «sussiste ed è apprezzabile in concreto il pericolo di reiterazione dei fatti della stessa specie di quelli per i quali si procede, attestato dalle specifiche modalità e circostanze dei fatti». Fra l'altro la personalità, fra gli altri, di Minervini è quella tipica «del politico di rodata esperienza, le cui funzioni e mansioni per lungo tempo espletate all'interno degli uffici comunali e le relazioni con gli imprenditori hanno consentito di assumere un ruolo di potere primario».
Sempre per la giudice Chiddo, quella del primo cittadino di Molfetta - al suo secondo mandato di fila al comando della città dopo aver vinto le elezioni nel 2022 -, è «una personalità forte ed autoritaria» capace di intromettersi «in ogni singolo bando o appalto, esorbitando dai poteri a lui conferiti dalla legge, fino ad imporre continue pressioni al dirigente Alessandro Binetti e letteralmente consegnandolo alla gestione degli imprenditori con lui collusi, animati unicamente da lucro».
Per gli indagati, poi, «le connotazioni oggettive dei reati commessi denotano una significativa propensione al crimine, indice di una inclinazione a delinquere». Per le indagini, Minervini avrebbe attuato «le condotte delittuose» ponendosi in «un totale asservimento all'imprenditoria privata, in cambio di utili non solo di natura economica e elettorale, ma anche di gloria e onori personali, per aver attuato opere rilevanti per la città», alcune delle quali sono ancora in corso di esecuzione.
I toni della misura restano molto duri quando si parla della «spiccata inclinazione di Minervini alla consumazione di vari delitti contro la pubblica amministrazione grazie anche ad una fitta rete di rapporti clientelari che gli consentivano (e gli consentirebbero ove lasciato in libertà) di condizionare l'attività amministrativa».