Anche molti baresi nel gruppo social "Mia Moglie"
Sulla piattaforma si condividevano foto hot delle proprie partner
venerdì 22 agosto 2025
Si annoverano numerosi profili pugliesi tra i trentaduemila iscritti che solevano dilettarsi maliziosamente sul gruppo Facebook "Mia Moglie", chiuso da Meta dopo sei anni di trastulli da parte degli utenti, nonostante nel tempo si fossero registrate sollecitazioni frequenti di esponenti politici e della società civile per bloccare gli scambi di fotografie dal taglio più o meno pornografico sulla piattaforma virtuale. Da verifiche effettuate, della nostra regione si registrano prevalentemente picchi di baresi, della provincia Bat e salentini.
Si tratta di dati che impongono osservazioni sul degrado culturale in cui versiamo: la sessualità non assurge soltanto a naturale bisogno dell'essere umano che trascende nel piacere fisico ed emotivo, ma viene associata troppo spesso alla violenza. È annoso il connubio tra "sesso e potere" in cui attraverso l'amplesso – o le fantasie su di esso – si esercitano dominio e sopraffazione. Si tratta tendenzialmente di un approccio maschile col quale affermarsi prepotentemente sulla figura femminile, degradata alla stregua di un trofeo da poter esibire.
A quanto pare taluni uomini non riescono più a soddisfare l'implacabile bramosia dell'estasi corporea con la visione di film hard recitati da preparate attrici a luci rosse, ma necessitano di fantasticare su persone lontane dai riflettori e dalle telecamere, parte, invece, della propria o altrui quotidianità. E così, quasi che fosse un gioco a figurine, hanno scelto di condividere le immagini intime delle proprie partner, quasi certamente ignare di essere esposte al pubblico godimento di occhi desideranti e mani serpeggianti.
In una realtà in cui si è sdoganato ancora di più il mercanteggiamento del corpo femminile, in cui nuove e giovanissime "sex worker" decidono consapevolmente di orientare la propria esistenza a svariate forme di prostituzione attraverso l'utilizzo del web, ci sono, per l'appunto, dei limiti entro cui esercitare le proprie pulsioni. Si configurano, quindi, questioni giuridiche che vanno al di là dell'etica e della morale.
Ai concetti di decoro e di buon costume nella diffusione di scatti osé, si affianca, innanzitutto, la riflessione sul tema del consenso e della relativa autorizzazione al trattamento di scatti che ritraggono la donna in pose audaci e che possono ledere la sua reputazione. Ci si dovrebbe chiedere, dunque, se la donna possa considerarsi una "vittima" soltanto qualora sia all'oscuro della divulgazione dei file che la immortalano o anche quando ella abbia acconsentito a ricevere apprezzamenti lascivi da un "branco di maschi alfa" che si inorgogliscono nell'ostentare la propria "femmina". Un atteggiamento predatorio, dunque, che va a incasellarsi in quel contesto "dello stupro" che si insinua tra le mura domestiche.
D'altro canto, poi, si rivelerà necessario inquadrare le condotte dei fruitori all'interno della cornice degli illeciti. Ci si domanda, infatti, se i comportamenti siano inscrivibili nell'invocato "Revenge porn", ossia nella "Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti" di cui all'art. 612 ter del Codice Penale che appunto punisce "chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate".
In attesa, dunque, dei dovuti sviluppi sulla vicenda anche attraverso l'eventuale identificazione dei soggetti responsabili grazie all'intervento della Polizia Postale, si rende opportuno almeno continuare a vigilare e segnalare altri spazi social in cui si propongono contenuti hot che violano non solo gli standard delle comunità virtuali, ma anche i valori di una collettività sana.
Si tratta di dati che impongono osservazioni sul degrado culturale in cui versiamo: la sessualità non assurge soltanto a naturale bisogno dell'essere umano che trascende nel piacere fisico ed emotivo, ma viene associata troppo spesso alla violenza. È annoso il connubio tra "sesso e potere" in cui attraverso l'amplesso – o le fantasie su di esso – si esercitano dominio e sopraffazione. Si tratta tendenzialmente di un approccio maschile col quale affermarsi prepotentemente sulla figura femminile, degradata alla stregua di un trofeo da poter esibire.
A quanto pare taluni uomini non riescono più a soddisfare l'implacabile bramosia dell'estasi corporea con la visione di film hard recitati da preparate attrici a luci rosse, ma necessitano di fantasticare su persone lontane dai riflettori e dalle telecamere, parte, invece, della propria o altrui quotidianità. E così, quasi che fosse un gioco a figurine, hanno scelto di condividere le immagini intime delle proprie partner, quasi certamente ignare di essere esposte al pubblico godimento di occhi desideranti e mani serpeggianti.
In una realtà in cui si è sdoganato ancora di più il mercanteggiamento del corpo femminile, in cui nuove e giovanissime "sex worker" decidono consapevolmente di orientare la propria esistenza a svariate forme di prostituzione attraverso l'utilizzo del web, ci sono, per l'appunto, dei limiti entro cui esercitare le proprie pulsioni. Si configurano, quindi, questioni giuridiche che vanno al di là dell'etica e della morale.
Ai concetti di decoro e di buon costume nella diffusione di scatti osé, si affianca, innanzitutto, la riflessione sul tema del consenso e della relativa autorizzazione al trattamento di scatti che ritraggono la donna in pose audaci e che possono ledere la sua reputazione. Ci si dovrebbe chiedere, dunque, se la donna possa considerarsi una "vittima" soltanto qualora sia all'oscuro della divulgazione dei file che la immortalano o anche quando ella abbia acconsentito a ricevere apprezzamenti lascivi da un "branco di maschi alfa" che si inorgogliscono nell'ostentare la propria "femmina". Un atteggiamento predatorio, dunque, che va a incasellarsi in quel contesto "dello stupro" che si insinua tra le mura domestiche.
D'altro canto, poi, si rivelerà necessario inquadrare le condotte dei fruitori all'interno della cornice degli illeciti. Ci si domanda, infatti, se i comportamenti siano inscrivibili nell'invocato "Revenge porn", ossia nella "Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti" di cui all'art. 612 ter del Codice Penale che appunto punisce "chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate".
In attesa, dunque, dei dovuti sviluppi sulla vicenda anche attraverso l'eventuale identificazione dei soggetti responsabili grazie all'intervento della Polizia Postale, si rende opportuno almeno continuare a vigilare e segnalare altri spazi social in cui si propongono contenuti hot che violano non solo gli standard delle comunità virtuali, ma anche i valori di una collettività sana.